
Un blog nato per essere cinico ed ironico: le spleengate sono racconti, opinioni, realtà fuori dal coro. Sybil In-Vane: la donna di Dorian Gray che ha rinunciato alla sua carriera "invano" per amore. Ma da novembre 2019, Sybil cambia volto e accetta Lilith (la prima donna) con sé: vedrete la raccolta degli articoli della rubrica "Il Giardino di Lilith" pubblicati su AostaCronaca. Femminismo, parità dei diritti, stereotipi di genere…E non solo.
mercoledì 12 giugno 2019
Maggiolini
Giunta l'ora di pranzo eravamo già tutti senza giacchetta, abbandonata in uno slancio di liberazione negli angoli e sulle sedie.
Si mangiava di fretta, il piede che palpitava sotto i tavoli, a rendere più veloce possibile quell'attesa.
Finalmente.
Aria.
Le maestre che urlavano di non correre, mentre rotolavamo nel cortile. Bisognava essere i primi a raggiungere il muretto o, almeno, la panchina accanto al cespuglio di rose; altrimenti eri costretto a giocare sotto il sole, il caldo e non decidevi nemmeno i giochi. Se arrivavi al muretto avevi il potere.
Era un giorno di maggio e avevo raggiunto la panchina. Avevo pianificato nei dettagli la mia conquista.
Il cortile era invaso dai maggiolini, marroni e grossi, che saltellavano da un piastrella e l'altra con le loro piccole ali.
Avevo la presunzione di capire un bambino dal suo approccio ai maggiolini.
V'erano alcune femmine che scappavano, urlando e coprendosi i capelli.
Alcuni li schiacciavano con ferocia, sotto le scarpe; ridevano, di gusto, al "crack" delle loro ali. Erano quasi sempre maschietti.
Poi c'erano le tre categorie della tolleranza: alcuni bambini fingevano che non ci fossero, salvo osservarli qualche minuto e cadere presto nell'indifferenza.
Altri se ne prendevano cura, li coccolavano come animali domestici; poi questi defecavano o si attaccavano ai vestiti con le zampette e allora li gettavano violentemente via, con aria schifata e arrabbiata: non erano stati riconoscenti! Certi bambini, restavano ad osservarli, senza toccarli, per ore; magari mettendo solo foglie e sassi lungo il loro cammino per vederne la reazione.
Ed io? A me piaceva guardare i bambini, osservarli dalla mia panchina all'ombra, mentre giocavano con gli insetti sotto il sole.
Isabella Rosa Pivot
venerdì 11 agosto 2017
Perché non ti ho più
Non mi mancano le
grandi cose, sai. Piccoli gesti, figure di pensiero, dettagli slabrati dalla
mia fantasia.
Minuzie tali, ch’a volte penso che non mi manchi davvero. Che di nostalgia sia vestito il tuo fantasma, la convinzione che avevo di poterti relegare ai miei risvolti di futuro.
Minuzie tali, ch’a volte penso che non mi manchi davvero. Che di nostalgia sia vestito il tuo fantasma, la convinzione che avevo di poterti relegare ai miei risvolti di futuro.
Solitudine, mi
dicono. Gli amici ripetono che la questione è d’abitudine, ma io e te sappiamo
che non è così. Perché prima di te ero solo, come un cane. E ci stavo bene. Ci
stavo davvero bene, sai.
A non vederti zampettare scalza per casa; a non ritrovare le tue mutande incastrate nelle lenzuola; ad avere mille schifezze nell’armadio, che tu finivi prima ancora ch’io avessi sistemato; a non raccattare grovigli di capelli nella doccia e a non trovare segni di rossetto sui miei asciugamani.
A non vederti zampettare scalza per casa; a non ritrovare le tue mutande incastrate nelle lenzuola; ad avere mille schifezze nell’armadio, che tu finivi prima ancora ch’io avessi sistemato; a non raccattare grovigli di capelli nella doccia e a non trovare segni di rossetto sui miei asciugamani.
A non pensare d’avere
bisogno di spazi. Senza te. A non avere più medicine di un ospedale, a non
ridurre l’alcool per farti felice.
A preferire il calcio ad una passeggiata, a non dover sopportare le tue lagne da ciclo o a non dover asciugare le tue lacrime dopo un film triste.
A preferire il calcio ad una passeggiata, a non dover sopportare le tue lagne da ciclo o a non dover asciugare le tue lacrime dopo un film triste.
Ma la verità è
che io e te si stava bene. Cazzo se si stava bene. E mi urlavi, a volte uscivi
e temevo non tornassi più. Ma si stava maledettamente bene. Io mica m’ero
accorto che te non eri felice. Non me l’avevi detto, non un accenno, non una
ruga stonata nei tuoi sorrisi.
I miei difetti li conosco bene, quanto le mie lacune. Te le ho presentate poco a poco, così come conviene ai sentimenti e pensavo non ti fossero di tal peso.
I miei difetti li conosco bene, quanto le mie lacune. Te le ho presentate poco a poco, così come conviene ai sentimenti e pensavo non ti fossero di tal peso.
Ma tu mi hai
sbattuto la verità in faccia, in un solo schiaffo: le accortezze che non ho
avuto, le incapacità di una vita. Tutto il marcio dell’autunno, che non mi hai
lasciato il tempo di far cadere. E io all’inverno ci sono arrivato solo, porca
miseria.
Avevo scelto te e non volevo grandi cose, sai. Piccoli gesti, figure di pensiero, dettagli colorati di una nostra malattia.
Avevo scelto te e non volevo grandi cose, sai. Piccoli gesti, figure di pensiero, dettagli colorati di una nostra malattia.
venerdì 4 agosto 2017
Non sono mai abbastanza
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J.M. GISBERT - Il Mistero della Donna Meccanica |
- Non sei abbastanza in carne per le curvy, per riempire quel vestito – non sei abbastanza magra per permetterti quel bikini, eppure… ti mancherebbe così poco per essere in forma smagliante.
- Non sei abbastanza stupida per fare foto così sciocche o frequentare quegli ambienti – non sei abbastanza intelligente per quel lavoro od affrontare quegli studi.
- Non sei abbastanza alta, elegante, discreta, silenziosa, umile, obbediente, dipendente.
- Non sei abbastanza brava a letto. Ma se lo fossi, non saresti abbastanza pura. Insomma, sii pura e imparata.
- Non sei abbastanza ottimista, vivace, positiva – ma tu, pensieri profondi, mai?
- Non puoi capire, non sei abbastanza acculturata – non sei abbastanza semplice, smettila d’usare sto linguaggio forbito; che argomenti noiosi.
- Non sei abbastanza alternativa – non ti conformi abbastanza, ovvio che poi stai antipatica.
- Non sei abbastanza figa per fare la modella – ma neanche la scienziata, mostra le tette non le provette.
- Non sei abbastanza vera, naturale, neutrale – curata, impeccabile, sensuale.
- Non sei abbastanza forte, lascia fare a un uomo – non sei abbastanza femminile, molla sti pesi.
Non sei
abbastanza brava, intelligente, bella, capace, interessante, unica, coerente,
uniforme, astuta, discreta, pura, femminile, sicura, ottimista, ordinata,
sensuale, casta.
Cioè, lo sei. Ma NON ABBASTANZA.
Cioè, lo sei. Ma NON ABBASTANZA.
Puoi sempre migliorare?
NO, NON SEMPRE. Perché, a volte, NON SERVE. Perché non ti deve fottere il cazzo
di TUTTO.
TU SEI ABBASTANZA.
venerdì 2 giugno 2017
Donne Invidiose
Diciamolo: le
peggior nemiche delle donne sono proprio le donne.
In realtà, le
reali e costanti sorgenti del maschilismo sono proprio le femmine invidiose che
pullulano nel tuo ufficio, attorno a te all’aperitivo, che vagano come uccelli
del malaugurio attorno al tuo profilo social; nella speranza di vederti cadere
e potersi sentire meglio loro. Poiché QUESTO è il punto: l’'invidia è il
bisogno di distruggere la felicità dell'altro. E noi donne ne abbiamo a palate.
L’uomo (anche se ultimamente sono cambiati i tempi anche per loro) è
solitamente più diretto, sicuro di se, più collaborativo e competitivo, al
massimo.
La donna, invece,
forse per un’educazione mirata ad un immaginario femminile irraggiungibile e
costantemente perfetto; la continuità con cui viene sottoposta a modelli stereotipati;
è più propensa a sentirsi in difetto nella società di cui fa parte.
Prendiamo la
strega cattiva di Biancaneve, ad esempio. Una donna bellissima, dotata di
poteri incredibili e a capo di un regno intero, che non riesce a godere della sua fortuna al punto
che decide di perseguitare un’ orfana, solo perché ne patisce bellezza e
spensieratezza. Perché una donna bella e potente prova invidia? Perché sente il
bisogno di confrontarsi spasmodicamente con un’altra?
“L’Invidia non
consiste tanto nel desiderare un oggetto dell’altro (in questo caso la
bellezza) ma nel provare fastidio di fronte alla felicità dell’altro. Non si
invidia una donna altrettanto potente e bella, ma la felicità che, ad esempio,
una donna semplice e meno importante possa provare, pur essendo ‘meno dotata’ È
come se l’invidiosa si chiedesse: ‘ma com’è possibile che lei, che ai miei
occhi non ha valore, sia così felice e amata da tutti?’.” (Dott.ssa Renata
Rana)
L’invidia nasce
da una sensazione di impotenza interiore, spesso inconscia, che non ci fa
sentire adeguati in mezzo agli altri. L’invidioso non può fare a meno di
neutralizzare l’altro, facendogli terra bruciata attorno, perché non conosce
altro modo di sentirsi considerato.
Per l’invidiosa
la gioia altrui è fonte di sofferenza e rabbia. Se una vostra amica reagisce
con sdegno davanti ad un vostro successo, non c’è dubbio: è invidiosa. Ovviamente
lo stesso vale anche per voi. Se improvvisamente i riscontri sociali ottenuti
dalla questa amica diventano per voi motivo di rabbia o di incredulità, forse è
bene che vi fermiate un attimo a riflettere, prima di rovinare con frecciatine
o comportamenti bizzarri un rapporto a cui, almeno un tempo, tenevate.
L’invidiosa non
sa o non ammette quasi mai di esserlo,
perché ovviamente dichiararlo significherebbe confessare la propria
“inferiorità”. Gioca sul pettegolezzo, sui sotterfugi, persino con se stessa.
Unico modo per
uscirne è trovare la soluzione alla sensazione di impotenza, cercando delle alternative
nella propria vita per risollevare la propria autostima. Anche perché, un
sano confronto competitivo può portarci a migliorare… mentre sentimenti
negativi come l’invidia non fanno altro che mangiarci dentro e spezzare i
nostri filoni di sicurezze.
Ricordo a tutte
che, alla fine, il principe se l’è preso Biancaneve. Con anche il regno.
venerdì 26 maggio 2017
Le offese più grandi che riceve abitualmente una bella ragazza

Argomento di cui
non si tratta mai poi, sono le offese che le belle donne ricevono abitualmente da
entrambi i sessi, un poco per invidia o gelosia ed un poco sempre dovuto ai
classici stereotipi.Andiamo ad
elencarne alcuni insieme. Con relativa risposta secca (ovviamente!).
#1: Te la tiri troppo.Qui vanno fatte
tre differenziazioni. Ci sono infatti
le donne che a) se la tirano davvero in modo spropositato e allora l’ardua
sentenza prescinde gli stereotipi che stiamo analizzando; b) se la tirano, ma
se lo possono permettere: insomma, come il miglior avvocato della piazza si
definisce tale, perché non lasciar qualche soddisfazione alla gnoccona baciata
dagli dei; c)è una supposizione semplicistica. Una bella ragazza è sottoposta
costantemente, quotidianamente ad avances, spesso anche fastidiose e offensive.
Nonché da attacchi di vario tipo: deve per forza essere più fredda e
distaccata, sicura di se e discreta, per non esser mangiata viva o soccombere
ai morti di figa. Insomma, non se la tira, previene solo situazioni spiacevoli.Fatte le
opportune considerazioni, necessaria l’ultima: cos’è della vanità che vi
irrita? E’ forse un difetto che vi arreca danno? Non siete per forza obbligati
ad interagire con la figa vanesia, dove sorge dunque il problema nei vostri
riguardi? Forse, una bella
analisi interiore sulla propria insicurezza, potrebbe aiutare più d’un giudizio
negativo regalato a chi non ve lo aveva chiesto.
#2: Ti piace solo provocare.E-a-chi-cazzo-non-piace.
Parliamoci chiaro: sia per provocare con le parole, che col corpo e lo sguardo,
ci vogliono delle qualità. Viviamo in un mondo sovraesposto e non venitemi a
raccontare che la bellezza non necessita d’altro se non di semplicità, che vi
sputo in un occhio. Non di questi tempi, non da quando tutti hanno accesso ad
una rete internet, a mille informazioni e materiale, ad ogni parte del globo
terrestre. La provocazione richiama attenzione e, se usata bene, anche il
pensiero. Aveste le stesse
qualità, non sareste da meno. Giovani, belle e magari pure con un po’ di
cervello: certo, come no, mettereste solo foto con dolcevita e gonnelle lunghe
nei social, sareste pacati e silenziosi, magari inneggiando al ruolo della
donna che lava-stira, figlia e basta.
#3: Perché non lavori in televisione?Questa non è
un’offesa per tutte, ovviamente: c’è chi ha questo obiettivo carrieristico.
Immaginatevi, però, di essere laureate in medicina
molecocontrocazzierobecomplicate col massimo dei voti e di vedere tutto sfumato
dal vostro seno che “in tv apparirebbe ancor più grande”. Beh, un po’ ti
girano, no?
#4: Ma cosa lavori a fare, sposatene uno ricco.Ah beh, certo.
Perché io, intanto, uno ricco me lo trovo mentre faccio jogging nel parco:
“toh, uno ricco, ciao me sposi?” e questo ovviamente, che avrà già mille fighe
ansimanti arriviste, va a cagare me-proprio-me e mette il suo patrimonio in
comunione dei beni. E magari è pure bello che Richard Gere levate’. Una bella poi,
deve per forza sfruttare solo quella dote, no? E se invece volesse
soddisfazioni, autonomia e libertà? Non siamo nel ’33 suvvia e, magari,
all’amore ci crede pure, il che non è male… e preferisce non vendersi per
quattro pezzi di carta. Scusate se è un difetto.
#5: Dai, cosa ti sei rifatta?Un classicone:
siamo talmente bombardati da Vip super rifatti, che la bellezza ci pare a
priori artificiale.Offensivo perché magari è tutta mamma natura e ore di
palestra e dieta: lavoro buttato nel cesso perché non ne vengono riconosciuti
gli sforzi.O magari rifatta
lo è davvero, ma sono un po’ anche cazzi suoi.
#6: Sei troppo Vip.Questa è
un’offesa sottile e va a raggruppare molte delle precedenti. Quella tipica
frase che ti spiattellano gli uomini insicuri, che sono convinti che la bella
donna sia inarrivabile, pompata e che
non ami i posti semplici, ma solo i luoghi ultra chic e costosi.
#7: Meglio se stai zitta con quel bel faccino.Tu, donna, osi
avere una qualche opinione?! Giammai! Hai già un bel viso, stai zitta e muta,
che altrimenti non riesco a segarmi su di te perché mi metti in soggezione e
non sono in grado di gestirti.Stereotipo comune
è che la donna bella sia stupida. Concetto realizzato spesso per rassicurazione
personale: “dio non può essere stato così tanto buono da darle tutto, non
sarebbe giusto”.
Insomma, la volpe
che non arriva all’uva… dice che è acerba.
venerdì 19 maggio 2017
Uomini che aspettano
Non è un racconto
e , se ti pare di aver capito subito, avrai tratto probabilmente la conclusione
sbagliata. Per chi saprà
cogliere, mi spiace: è un’analisi particolarmente fastidiosa. Lo so.
Certamente non sono mai stato un playboy. Sono il classico uomo sulla cinquantina che ha passato la vita sui libri. Non sono male, ma non ho di certo un fisico atletico o lo charme d’un uomo di successo. Conto le donne della mia vita sulle dita della mano e con nessuna di queste si è conclusa particolarmente bene.
Altrettanto sicuramente e per i motivi appena esposti, non mi immaginavo di finire nelle mire di Cristina, giovane donna in carriera, bella e splendente. Quelle che guardano i calciatori o i manager, mica gli studiosi d’antropologia.Bionda come il grano, a tratti così brillante da farmi dubitare di averci capito davvero qualcosa in questa vita. Altre volte invece, era così stupida e cocciuta, che una noce di cocco al suo confronto pareva morbida. Se ne usciva con delle stronzate colossali, ma con una convinzione tale che quasi diventano carismatiche e finivi per sorridere, come si fa con i bambini capricciosi con cui hai deciso di gettare la spugna.
Avete presente no?
Discreta e elegante, eppure eccessiva, quasi strabordante.
Non so se si può parlare d’amore, la mia è forse solo una semplice ossessione. Una patologia dell’insoddisfazione: come se ti avessero preparato la carbonara più buona della storia dell’uomo, per poi toglierti il piatto a metà pasto. Senza una valida motivazione… così, per diletto, nel vederti infastidito e sorpreso. Questo, però, l’ho capito solo dopo.
Attratto dalla sua bellezza, eliminati i giustificati timori relativi, credetti di averla in pugno. All’inizio. Mi guardava già dai primi incontri con gli occhi innamorati, persi e languidi. Sparava dolcezza a tratti, così da farmi credere di poter cogliere solo io quel suo lato infantile e smarrito, quella debolezza celata sotto la sua maschera di indifferenza.Quando mi resi conto d’essere fottuto, completamente pazzo di lei, Cristina l’aveva già avvertito da tempo, tanto che fu lei a farmelo notare una notte. Mentre facevamo l’amore, mi sussurrò parole che non pensavo di desiderare più ormai. Le lenzuola profumavano di lei e sono quasi certo che il mio cuore smise di battere per un lungo, forse lunghissimo istante, prima di accelerare furiosamente.
Dopo quella sera, cominciò a sparire. Credevo si fosse spaventata, ripercorrevo ogni mio gesto. Mi sentivo al confine tra lo stalking insensato e il lecito diritto di possesso: insomma, era mia. Era mia, ormai. MIA. Come riusciva a starmi lontano? Come poteva lei? Sfuggente, la vedevo di tanto in tanto, per sua gentil concessione e aveva sempre gli occhi di una dolce malinconia, così mi illudevo ogni volta che sarebbe tornata quella volta.Quegli incontri erano una droga: mi sembrava d’annegare in un mare agitato e d’avere solo qualche breve boccata d’ossigeno dalle sue labbra di tanto in tanto, per gentil concessione, giusto per non farmi morire del tutto.
Un dannato mercoledì sera, la vidi con un altro. Vi giuro, credevo che vedendola con un altro uomo sarei morto. Invece, provai una sensazione alienante: come se non fossi in me e stessi guardando la scena dal di fuori. La osservavo come si osserva uno sconosciuto dai tratti o atteggiamenti bizzarri; come se stesse parlando e ridendo da sola, senza nessuno intorno.Conservai quel sentimento apatico ed iniziai a fare una ricerca sul suo passato, meticolosa e scientifica: volevo trovar il nucleo di creazione del suo atteggiamento incomprensibile e finii per ribaltare la mia vita e la mia consapevolezza individuale. Come spesso accade cercando di capire gli altri, d’altronde.
Poco importano quelli che identificai come lievi “traumi”, di Cristina. Scoprii che quasi tutti gli uomini che aveva avuto si trovavano nella mia condizione, in un ciclo perenne di dipendenza. Ciò che avvertivo come speciale, l’amore che credevo di offrirle, lei lo aveva già in tali quantità ed in così tante modalità che era ovvio non avrebbe mai più patito la solitudine, se solo lo avesse voluto.Uomini disposti ad aspettarla una vita, nella speranza di averla per se, solo e soltanto tra le loro braccia. Erano tutti in coda.
Inizialmente mi prese la rabbia, com’era giusto fosse: ok era bella, ma non era sta gran cosa, eh. Cosa aveva mai più di miliardi d’altre donne sulla terra, che cosa poteva offrire rispetto a donne più stabili emotivamente e meno subdole?! Li conobbi tutti: cercai tutti gli uomini che avevano scandito le sue scelte sentimentali, ripercorsi la psicologia che risiedeva dietro la loro mente bacata e soggiogata. La mia, di mente bacata e soggiogata. Sapevano tutti dell’animo libero di Cristina e delle sue frequentazioni: non le nascondeva mai, non ne aveva bisogno, perché non prendeva mai impegni espliciti con nessuno. Anzi, accettavano di buon grado la loro sorte, convinti che lei necessitasse di esperienze maggiori per poi cogliere il “vero amore”, il loro. Con animo redentore, erano convinti di poter cambiare e prima o poi incatenare l’impaurita e, a detta loro, ingenua ragazza. Mi permetto di ironizzare sulle loro vane speranze solo perché sono anche le mie: mi sento sciocco, eppure davvero non riesco a levarmi nemmeno io questa convinzione psicopatica.
Credo che lei non se ne accorga, che non lo faccia apposta. Vive davvero a istanti di forte emozione, per poi annoiarsi. Assetata di adrenalina, non riesce a diluirne il piacere e cerca continui e costanti picchi. Appena si sente legata o costretta, ecco che scivola dalle catene senza alcuna esitazione. Esattamente come gli uomini che circuiva che, però, non erano abituati a questi sbalzi e, in una convinzione romantica e immatura di costanza sentimentale, subivano la disintossicazione. Per poi convincersi della positività di quello stato: l’irraggiungibile rimane eterno, non si sciupa mai.
No, non credo sia amore, ma una palese ossessione. Nonostante ciò e i segnali portati alla luce, a conti fatti, sono ancora qui. Una parte di me spera e spererà sempre che bussi alla mia porta, pentendosi della sua rinuncia.
Aspetto.
venerdì 12 maggio 2017
Lo sfigato social
Morti di figa
nell’era digitale
I morti di figa
sono sempre esistiti da che mondo è mondo. Erano le occasioni per espletare
questo diritto non autorizzato che, prima dell’avvento dei Social, potevano
venire a mancare.
Dicasi “morto di figa” un esponente maschile in cerca di continuo contatto con il sesso femminile, senza però riuscire mai nello scopo, sia per codardia ma, soprattutto, per incapacità.
E così si limita a sbavare dietro un monitor e ad inviarti i messaggi più assurdi o i commenti più beceri, nella speranza che tu, donna, gliela dia per sfinimento e/o pena.
Fino a qualche annetto fa, se evitavi con cura cantieri, bettole e ritrovi ufo-nerd, potevi scampare da una grossa fetta di bavazombies. Venivano filtrati dalla legge stessa delle probabilità e tu potevi crogiolarti semplicemente nel riflesso dei loro sguardi (alzando il livello d’autostima) senza dover dedicare una buona quantità di ore della tua giornata a massacrarli.
Dicasi “morto di figa” un esponente maschile in cerca di continuo contatto con il sesso femminile, senza però riuscire mai nello scopo, sia per codardia ma, soprattutto, per incapacità.
E così si limita a sbavare dietro un monitor e ad inviarti i messaggi più assurdi o i commenti più beceri, nella speranza che tu, donna, gliela dia per sfinimento e/o pena.
Fino a qualche annetto fa, se evitavi con cura cantieri, bettole e ritrovi ufo-nerd, potevi scampare da una grossa fetta di bavazombies. Venivano filtrati dalla legge stessa delle probabilità e tu potevi crogiolarti semplicemente nel riflesso dei loro sguardi (alzando il livello d’autostima) senza dover dedicare una buona quantità di ore della tua giornata a massacrarli.
Poi è giunta la
chat di Facebook: l’inizio del declino. Orde di esseri, sposati e no, vecchi o
giovani, stranieri di fatto o per ignoranza estrema, si sono riversati sui
profili femminei. Con una perseveranza, oltretutto, che Ercole con le sue
fatiche levate’. Ma cerchiamo di delinearne qualche categoria insieme:
- Il “Salutista”Probabilmente caduto da piccolo, nella fase di apprendimento del linguaggio.Profilo social scarno, massimo una foto profilo e neanche di quelle venute bene. L’approccio tipico, che ha ben poche varianti, è un semplice “ciao”, perpetrato all’infinito. Anche se rispondi, sarà l’unica cosa che saprà dirti. Uno dei più snervanti.
- Il “Serial KillerSolitamente ha un animale come foto profilo, non se ne conoscono i motivi. Ti sorprende all’improvviso con qualche frase tendente allo psicopatico, come ad esempio: “Ciao, ti va di camminare nel parco assieme, mano nella mano e parlare di noi due?” e a te vengono solo i brividi lungo la schiena.
- Il “Maniaco”Proprio come quello nudo con solo il cappotto al parco, uguale uguale. Ti manda di soppiatto la foto del suo membro, senza manco una didascalia di presentazione o un indirizzo Google Maps per trovarlo. Nisba. Da vomito e non aggiungo altro.
- L’ “Analfabeta”“Cia belisima, ke nella vita?”. Il modo spigliato ce l’ha, ci mancherebbe. E non sarebbe neanche tanto fastidioso, se sapesse perlomeno scrivere in una qualsiasi lingua esistente.
- Il “Galante”Ah, questo ti frega. Forse, è l’unico che avrebbe una speranza d’uscire dalla mortodifiga-zone. Semplice, garbato ed elegante, attira la tua attenzione e così, anche se non è il tuo tipo, decidi di essere perlomeno gentile e gli dai corda. Ecco che dopo qualche giorno, esce fuori lo stalker celato in lui: ti inonda di messaggi, continui, ad ogni ora. E tu accetteresti un incontro solo per ucciderlo.
- Ultimo, ma non per onore… Il “Poeta”Ve ne sono di due versioni: quello che le poesie te le manda proprio e tu, ad ogni messaggio, senti in sottofondo la canzone della Rettore; l’altra tipologia potremmo definirla meglio sotto il nome del “divulgatore” : a causa di probabili problematiche psico-sociali, non riesce a formulare delle frasi e, così, si limita a mandarti link, canzoncine, sticker, cuori e chi più ne ha ne metta. Insomma, una pecolla da record.
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