Spleengate

mercoledì 12 giugno 2019

Maggiolini




Giunta l'ora di pranzo eravamo già tutti senza giacchetta, abbandonata in uno slancio di liberazione negli angoli e sulle sedie.
Si mangiava di fretta, il piede che palpitava sotto i tavoli, a rendere più veloce possibile quell'attesa.
Finalmente.
Aria.
Le maestre che urlavano di non correre, mentre rotolavamo nel cortile. Bisognava essere i primi a raggiungere il muretto o, almeno, la panchina accanto al cespuglio di rose; altrimenti eri costretto a giocare sotto il sole, il caldo e non decidevi nemmeno i giochi. Se arrivavi al muretto avevi il potere.
Era un giorno di maggio e avevo raggiunto la panchina. Avevo pianificato nei dettagli la mia conquista.
Il cortile era invaso dai maggiolini, marroni e grossi, che saltellavano da un piastrella e l'altra con le loro piccole ali.
Avevo la presunzione di capire un bambino dal suo approccio ai maggiolini.
V'erano alcune femmine che scappavano, urlando e coprendosi i capelli.
Alcuni li schiacciavano con ferocia, sotto le scarpe; ridevano, di gusto, al "crack" delle loro ali. Erano quasi sempre maschietti.
Poi c'erano le tre categorie della tolleranza: alcuni bambini fingevano che non ci fossero, salvo osservarli qualche minuto e cadere presto nell'indifferenza.
Altri se ne prendevano cura, li coccolavano come animali domestici; poi questi defecavano o si attaccavano ai vestiti con le zampette e allora li gettavano violentemente via, con aria schifata e arrabbiata: non erano stati riconoscenti! Certi bambini, restavano ad osservarli, senza toccarli, per ore; magari mettendo solo foglie e sassi lungo il loro cammino per vederne la reazione.
Ed io? A me piaceva guardare i bambini, osservarli dalla mia panchina all'ombra, mentre giocavano con gli insetti sotto il sole.

Isabella Rosa Pivot

1 commento:

  1. Ho assistito a centinaia di concerti, negli anni.
    I momenti che preferivo erano quelli della leopardiana attesa, che spesso duravano ore, per gli eventi di maggior pubblico, perché andavo molto presto per poter essere vicino al palco.
    Mi piaceva quell'attesa, perché osservavo le persone che pian piano arrivavano e, ognuna con diverso stato d'animo, si prepravano a loro volta all'attesa. Per me lo spettacolo vero era il pubblico. Non ho perso l'abitudine di osservare la gente, lo faccio ad esempio anche sui mezzi pubblici.

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