Spleengate

venerdì 20 dicembre 2019

Il Giardino di Lilith: il Potere della Seduzione

Lilith è Donna. È un aspetto - o più - del nostro carattere. È irriverenza verso un sistema che deve cambiare



Ma chi è Lilith esattamente? È una figura presente nelle antiche religioni mesopotamiche e nella prima religione ebraica. Nella religione mesopotamica, Lilith è il demone femminile associato alla tempesta, ritenuto portatore di disgrazie e malattie. Per gli antichi ebrei, invece, era la prima moglie di Adamo (antecedente ad Eva): fu ripudiata e cacciata dal Giardino dell'Eden, poiché si rifiutò di obbedire al marito che pretendeva di sottometterla.Alla fine dell'Ottocento, in concomitanza con la crescente emancipazione femminile in occidente, Lilith diventa il simbolo del femminile che non si assoggetta al maschile.
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Nel gioco della seduzione etero ci viene spesso assegnato lo scettro di regine.
E ci pare pure un grande onore.  È consuetudine pensare alla donna come la detentrice del potere: è a lei che spetta la decisione finale. Nell'immaginario collettivo maschile, l'uomo è la parte costretta ad agire, a rischiare un'umiliazione; quella che spende e si impegna maggiormente.
Possiamo davvero ritenere corretta quest' affermazione, in particolare nel 2019?  Sono effettivamente le donne quelle che "controllano" l'attrazione?
Perché se così fosse, la reale vittima, colei che "subisce" la seduzione non è di certo la controparte maschile, bensì la donna, relegata ad una reazione ed eventuale valutazione a posteriori. Apparentemente l'uomo è la parte che assume maggiori rischi e con meno probabilità di riscontri effettivi; ma sarebbe comunque l'attore principale, spacciandosi per colui che crede solo di esserlo sotto volontà femminile.
"Se la donna si lascia sedurre, è lei che ha deciso": è un evidente controsenso, dato dalla passività stessa del verbo. Siamo una sorta di cancello che "si concede" e "si apre" a colui che vuole entrare?!  Noi offriamo semplicemente al miglior proponente.
Il cavaliere prende, a seconda del valore che LUI decide di dare all'offerta, in una mera asta genitale e/o amorosa, che ci eleva ad opere d'arte solo per non farci sentire meri oggetti da essere messi in mostra (quali siamo secondo tali presupposti). Noi accettiamo, ci accontentiamo in base alle offerte, al massimo rifiutiamo.
Eppure, se ben analizziamo la parte pratica relativa al gioco seduttivo, non è difficile scorgere una parità di impegno. Tenendo come unità di misura il corteggiamento tradizionale, tanto caro ai nostalgici e pur sempre apprezzato dalle donne d'istruzione cinematografica romantica, l'uomo è colui che paga la cena e/o offre il bere, cornice nella comunicazione selettiva; da buon cavaliere, si occupa degli spostamenti della donzella nel periodo concordato e si propone nei passi essenziali d'approccio (es. invito-luogo-bacio).
Una spesa economica che agli occhi di molti uomini risulta spesso, se poco onerosa, la causa di di una mancata considerazione successiva. Già a questo punto andrebbe aperto un discorso: difficilmente gli uomini dubitano di un'assenza d'interesse dovuta alle argomentazioni utilizzate; ma non è il momento di parlare di queste finiture.
Nel medesimo quadro, in pochi però - e molto spesso le donne stesse- considerano i costi a carico della donna a cui simili appuntamenti sono cari: abbigliamento, trucco, parrucchiere, estetista. Resistenza emotiva per non rischiare un brutto giudizio successivo. Isteria nervorsa per la posa passiva assunta.
Potrebbe apparire una considerazione assolutamente sessista: una donna relegata al ruolo di donzella che mira ad attirare a se gli occhi del suo spasimante, spendendo cifre futili. Potrebbe, perché è semplicemente la comune realtà e non una critica dall'alto. Accettarla è il primo passo per un cambiamento. E con accettazione intendo anche la considerazione che possa essere un'opzione femminista: una donna è giusto che sia romantica e femminile. Proprio come è libera di non esserlo.
Come "aggiustare" dunque una simile fastidiosa piega offensiva? Rivoltando il concetto.   L'uomo che corteggia, non ci compra: non ci facciamo belle per lui, ma per noi stesse. Ogni singolo giorno. Lui per primo dovrebbe corteggiare per il piacere di farlo e non per costrizione o assumendo che sia scontata una "ricompensa".
Non siamo le vittime del gioco di seduzione, scaraventate da un invito all'altro, relegate nell'attesa d'una considerazione che dia paglia alla nostra autostima bruciante ad ogni fallimento. Non siamo finte Regine, sedute e pronte ad essere comprate da un Re che ancora non è giunto.  Siamo parti attive della conquista. Siamo i cavalieri che si propongono, con la femminilità e il livello di discrezione che ognuna sente necessariamente proprio. Abbiamo molto da offrire, ma vogliamo ricevere tantissimo.
Dobbiamo voler ricevere moltissimo. 
Non siamo costrette ad essere grate ad ogni complimento o attenzione, ma nemmeno pretendere che ci vengano offerti: non siamo mendicanti dei sentimenti.  La seduzione deve essere un abile gioco a due di finto scambio di potere, solo per il piacere di perdere il controllo.  Perpetriamo nell'accusare i mezzi, senza renderci conto che è spesso il fine che li determina e giustifica.
Essere femminista, essere una donna fiera che pretende pari dignità, non deve significare per forza rinunciare al romanticismo, al corteggiamento o alla seduzione come da sempre considerata. Può valere per alcune donne: pari diritti significa anche libertà di vivere le nostre emozioni come meglio riteniamo. Come può valere lo stesso ragionamento per la controparte maschile: non ogni uomo deve sentirsi costretto ad assumere un ruolo che non gli appartiene e noi per prime dobbiamo rispettarlo e cercare altrove se lui non corrisponde ai nostri canoni comportamentali.
Però, dobbiamo avere ben chiaro che non siamo oggetti all'asta e, in quanto gioco, il corteggiamento richiede ruoli attivi da entrambe le parti. Non comandiamo, ma nemmeno subiamo la conquista.  Non accettiamo un'offerta, ma proponiamo un baratto dal valore particolarmente alto.  Non siamo regine e loro cavalieri o re; al massimo, possiamo metaforicamente identificarci in due ballerini.
E, nel caso scegliessimo di essere la parte che si fa condurre, dobbiamo sempre avere bene a mente che è una scelta effettuata esclusivamente al fine di rendere il ballo armonico e piacevole...
D'altronde, da solo e senza consenso, l'uomo non potrebbe certamente danzare.
(Articolo pubblicato originariamente su www.valledaostaglocal.it)
Isabella Rosa Pivot

mercoledì 4 dicembre 2019

Il bello di essere donna

IL GIARDINO DI LILITH





Lilith è Donna. È un aspetto -o più- del nostro carattere. È irrivirenza verso un sistema che deve cambiare.
Ma chi è Lilith esattamente?
È una figura presente nelle antiche religioni mesopotamiche e nella prima religione ebraica. Nella religione mesopotamica, Lilith è il demone femminile associato alla tempesta, ritenuto portatore di disgrazie e malattie. Per gli antichi ebrei, invece, era la prima moglie di Adamo (antecedente ad Eva): fu ripudiata e cacciata dal Giardino dell'Eden, poiché si rifiutò di obbedire al marito che pretendeva di sottometterla.
Alla fine dell'
Ottocento, in concomitanza con la crescente emancipazione femminile in occidente, Lilith diventa il simbolo del femminile che non si assoggetta al maschile.
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IL BELLO DI ESSERE DONNA


Qualche tempo fa feci un breve sondaggio sul mio profilo Facebook, in cui chiesi qual era -secondo i miei contatti- il più grande vantaggio dell'esser donna e la caratteristica per la quale non avrebbero mai voluto esserlo. La domanda era rivolta ad entrambi i sessi.
Mi soprese molto la risposta dei miei contatti: quasi tutti, sia donne che uomini, scelsero come pregio del genere femminile il poter dare la vita e come svantaggio l'avere le mestruazioni. Oltre il paradosso evidente, poiché per poter generare la vita il ciclo risulta essere prerogativa essenziale, mi stupì molto quanto fosse limitante l'opinione nei riguardi delle qualità femminili. Anche perché molte donne non possono/vogliono avere dei bambini e non sono certo identificabili come prive di qualità.
D'altronde, io stessa - come tantissime altre donne- dico spesso con ironia, ma celando ahimè un fondo di rassegnazione, che nella "prossima vita" vorrei nascere uomo. Perché è più facile. Ed eccome se lo è, ancora ai nostri giorni: impossibile negarlo. 'Più facile' non è però mai stato un sinonimo esclusivo di "felicità" ed anzi, spesso sono proprio le fatiche a regalarci le più grandi soddisfazioni.
Eppure stentiamo tutte/i a trovare caratteristiche positive che non ci limitino ad una relazione, ad un rapporto con qualcuno: ad es., madre- che si sdoppia, sensibile e che accudisce; moglie - amabile, rispettabile, attenta.
Non credo di aver mai conosciuto un uomo etero che invidiasse le donne per qualcosa che andasse oltre la possibilità di sedurre per ottenere vantaggi e la facilità di rimorchio. Come se questi fossero elementi assimilabili universalmente a tutte e pure opportunità: spesso si tratta di svantaggi, per donne che non ne desiderano gli effetti consequenziali.
Ma non ci possiamo affatto stupire, se siamo le prime a identificare poche qualità nel nostro genere e anzi a considerare potenziali difetti e debolezze i nostri punti di forza.
Ci è stato insegnato che forza e potere erano sinonimi della parola "uomo" e negli anni, per raggiungerli, abbiamo sfruttato le affinità con il genere maschile, mettendo da parte ciò che invece andrebbe valorizzato del nostro genere e potrebbe portare a reali cambiamenti di direzione positivi.
Se provate a cercare su Google "le qualità di una donna", avrete molte difficoltà a trovare dei risultati soddisfacenti. Troverete le caratteristiche che di una donna piacciono agli uomini e come riuscire ad ottenerle. Troverete qualità come l'empatia, la sensibilità, l'accudimento: stereotipi limitanti, non in quanto tali, ma perché carenti se non sostenuti da altre tantissime peculiarità e sempre solo legati all'idea di una donna in relazione a qualcun altro.
Vi voglio elencare ora alcuni attributi che rendono unico il nostro genere e che dovremmo mettere in mostra come una medaglia al valore, da passare alle nostre figlie con orgoglio; da insegnare ai nostri figli maschi come qualità a cui ambire. Certo, anche questi non sono tutti requisiti innati, ma molti vengono acquisiti mediante l'educazione; ma rimangono comunque degni di vanto.
E, naturalmente, con ciò non voglio classificarli come necessariamente esclusivi del nostro genere: anche molti uomini potrebbero riconoscersi in questa piccola lista. Apparirà però ovvio a tutti i miei lettori che si tratta di peculiarità a maggioranza femminili ed esorto a prenderne spunto, non ad affermarne la scontatezza.
Siamo multitasking: le donne sono in grado di portare avanti molte azioni insieme; siamo portate a vedere le realtà nella loro globalità: gli uomini hanno una visione più settoriale; possiamo avere multiorgasmi e la nostra esperienza sessuale è spesso capace di abbracciare anche la nostra emotività; sopportiamo maggiormente il dolore e siamo più propense al sacrificio; abbiamo molta più pazienza ed energia; siamo in grado di ascoltare, con il cuore, e di parlare apertamente delle nostre emozioni; siamo più altruiste e più comprensive; possiamo trasformarci, cambiare il nostro look e aspetto con estrema facilità; riusciamo a vedere molteplici possibilità, ove l'uomo spesso vede un'unica soluzione; abbiamo maggior coraggio di cambiare le nostre abitudini; il ciclo ci permette spesso una vita più lunga e ci protegge da molti malanni; la nostra memoria è più solida; abbiamo un rapporto più maturo con i nostri genitori, che meno spesso degenera in situazioni morbose; siamo portate a sognare in grande, ma non ci abbattiamo se la situazione richiede attesa.
E voi, vi siete mai domandate quale fosse il vostro motivo d'orgoglio d' essere una donna?
Provate a pensarci e a far sì che venga notato. Dobbiamo rimarcare le doti che ci rengono uniche e, pertanto, essenziali. Indipendentemente dalla moltiplicazione della specie.
"Dietro una grande DONNA c'è sempre un grande uomo" è una frase ben lungi dall'essere diffusa: è ora che ci impegniamo tutte ad invertire la rotta.
 (Articolo pubblicato in primis sulla rubrica omonima di AostaCronaca)

Isabella Rosa Pivot

Mi sento in colpa

IL GIARDINO DI LILITH






Lilith è Donna. È un aspetto -o più- del nostro carattere. È irrivirenza verso un sistema che deve cambiare.
Ma chi è Lilith esattamente?
È una figura presente nelle antiche religioni mesopotamiche e nella prima religione ebraica. Nella religione mesopotamica, Lilith è il demone femminile associato alla tempesta, ritenuto portatore di disgrazie e malattie. Per gli antichi ebrei, invece, era la prima moglie di Adamo (antecedente ad Eva): fu ripudiata e cacciata dal Giardino dell'Eden, poiché si rifiutò di obbedire al marito che pretendeva di sottometterla.
Alla fine dell'
Ottocento, in concomitanza con la crescente emancipazione femminile in occidente, Lilith diventa il simbolo del femminile che non si assoggetta al maschile.
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MI SENTO IN COLPA

- Ma a chi li hai lasciati i bambini?
- Al papà.
- Poveri cuccioli... Avranno nostalgia.

Qualche giorno fa ho moderato un incontro con una grande scrittrice femminista, nota per il suo blog "rosa" e controcorrente.
Abbiamo parlato di Donne, violenza e femminismo.
Un lungo momento di dialogo e confronto è stato dedicato al senso di colpa che attanaglia noi donne costantemente.
È una piccola tortura che ci hanno instillato da bambine e ci corrode con l'avanzare degli anni, come una goccia che scende a ritmo cadenzato, sullo stesso punto della nuca.
Proviamo senso di colpa quando siamo troppo stanche per giocare con i nostri bambini; quando li lasciamo con i nonni per andare in palestra; quando arrivano ospiti all'improvviso e la casa è in disordine, anche se siamo in due a viverci; ci sentiamo in colpa se lui ci tradisce o ci lascia, perché pensiamo di non aver fatto abbastanza; ci sentiamo in colpa se lo abbiamo lasciato noi, perché non ci rendeva felici; se mangiamo un dolce e non riusciamo a tornare in forma come gli avevamo promesso o se non abbiamo fatto in tempo a portare a termine tutte le faccende; se non desideriamo dei figli, perché tutte le donne normali lo vogliono.
"Se ci picchia perché la minestra era fredda, perché potevamo scaldarla meglio", citando una testimonianza riportata dalla scrittrice dell'incontro.
Ci sentiamo in colpa quando pensiamo a noi stesse, perché ci hanno insegnato che la donna esiste in funzione delle relazioni che crea attorno a se. Una donna non è mai completa: per esserlo deve essere madre, moglie, compagna. La donna è nata per "prendersi cura di" e, quando smette di farlo indipendentemente dal motivo, ecco che la critica ricade sulle mancanze.
Si pretende la perfezione dalla donna in ogni campo, dall'aspetto alle riserve energetiche. È come se ogni essere vivente sulla terra pretendesse il suo pezzetto di soddisfazione: devi essere in forma per il tuo uomo, figliare per la società, lavorare e fare carriera, essere una brava casalinga per la tua famiglia e essere impegnata socialmente che non guasta... ma non troppo o inizi a dar fastidio.
Non troppo, esattamente. Perché tutto, per essere perfetto, esige una giusta dose degli elementi ed è facile passare da "donna in forma" a "fissata", da "brava donna di casa" a "rompiscatole", da "donna indipendente" a "carrierista egoista".
In questo marasma di pretese costanti, ci destreggiamo tra un compito e l'altro con fatica e ansia da prestazione, cercando di colmare più lacune possibili.
In tutto ciò ci dimentichiamo di noi stesse e più gli anni passano e più il tempo per l'ozio, per noi e per i nostri piaceri ed hobby sparisce. Cominciamo con il rinunciare a un aperitivo tra amiche, per riuscire a fare le lavatrici e a finire il compito assegnato dal nostro capo. Passiamo al rasoio dalla ceretta perché finito il lavoro, chi li prende i bambini, che lui non ha il part-time. Non troviamo più un giorno per noi: la cucina, il lavoro o persino lo stirare diventano i "nostri momenti"; attimi che abbiamo trasformato saggiamente in cuscinetti per salvaguardarci dai mali per i quali dovremmo esser noi la cura.
Tutto questo perché ci sentiamo in colpa. Una volta instillata la perfezione, ecco che ogni mancanza diviene colpa. E, quindi, cerchiamo di non mancare mai in nulla.
Dobbiamo rivendicare il nostro tempo, i nostri sogni e i nostri bisogni, perché nessuno ce li concederà.
Dobbiamo dimenticare i modelli insulsi che cercano di propinarci e convincerci che è la nostra realtà che deve essere modellata secondo il nostro benessere.
Dobbiamo smettere di sentirci in colpa, perché è di quello che si nutre la paura e la violenza.
 (Articolo pubblicato in primis sulla rubrica omonima di AostaCronaca)

Isabella Rosa Pivot

È tutta colpa nostra

IL GIARDINO DI LILITH



Lilith è Donna. È un aspetto -o più- del nostro carattere. È irrivirenza verso un sistema che deve cambiare.
Ma chi è Lilith esattamente?
È una figura presente nelle antiche religioni mesopotamiche e nella prima religione ebraica. Nella religione mesopotamica, Lilith è il demone femminile associato alla tempesta, ritenuto portatore di disgrazie e malattie. Per gli antichi ebrei, invece, era la prima moglie di Adamo (antecedente ad Eva): fu ripudiata e cacciata dal Giardino dell'Eden, poiché si rifiutò di obbedire al marito che pretendeva di sottometterla.
Alla fine dell'
Ottocento, in concomitanza con la crescente emancipazione femminile in occidente, Lilith diventa il simbolo del femminile che non si assoggetta al maschile.
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È tutta colpa nostra
" Femminismo: atteggiamento - convinzione - movimento politico, culturale e sociale, che sostiene la parità politica, sociale ed economica tra i sessi. [...] "

Ironico dover ricordare ancora la definizione stessa di femminismo. Eppure appare quanto più necessario se frasi come "io non sono femminista: voglio la parità dei sessi, non la superiorità della donna" sono all'ordine del giorno, soprattutto tra le donne.
Come appare ancor oggi essenziale ribadire la necessità dell'esistenza del movimento, con forza sempre maggiore.
Nonostante i femminicidi in aumento, gli stupri e le violenze quotidiane; le offese, le differenze salariali e sociali; i giudizi e pregiudizi, le discussioni ancora aperte su diritti come l'aborto; l'assenza di provvedimenti concreti per agevolare la maternità in un periodo storico che vede entrambi i genitori sostenitori dell'economia famigliare... V'è ancora chi sostiene che la parità sia stata raggiunta.
Ma v'è anche chi, con quella ragione che si concede solo agli stolti, ne chiede l'estinzione, additando il femminismo di un'aggressività che parrebbe lontana dalla femminilità. Un'ira che, a detta di questi, sarebbe persino la causa di una perdita di virilità nel genere maschile. Non un aumento dell'empatia, della parità dei generi in rapporto all'apparire ed al sentire. No: la donna si sta trasformando in un essere crudele e lussurioso, mentre l'uomo sta diventando una femminuccia isterica.

È tutta colpa di noi femministe se il mondo sta andando a rotoli. È colpa nostra, che un giorno ci siamo svegliate dal torpore domestico e abbiamo deciso di ribaltare la nostra "natura".
D'altronde, noi siamo nate
con una propensione all'ordine e alla pulizia, all'attenzione per la casa, per la cura e l'accudimento. Altrimenti come spiegare generazioni di donne e madri soddisfatte nel loro ruolo?
Perché di ruolo si tratta: abbiamo ottenuto i doveri, quelli lavorativi, tralasciando i diritti di una divisione reale dei compiti domestici e di educazione dei figli. E sono le stesse madri e nonne a perpetrare il bisogno di una simile condizione, per paura e protezione, in una società che giudica sprezzante la contemplazione di una vita diversa. "Gli uomini vanno presi a letto e in cucina"; "non dargliela al primo appuntamento o scappa"; "una donna senza figli non è una donna realizzata"; "gli uomini non ci arrivano, devi farlo tu".
Intendiamoci, fare la madre e la casalinga è un bellissimo lavoro se è ciò che si desidera; non deve però diventare costrizione perpetua e assoggettabile a qualsiasi esponente del sesso femminile. Non deve nemmeno negare la stessa possibilità all'uomo, che spesso non ha le medesime attenzioni e non si pone gli stessi problemi della donna non per questioni biologiche, ma per abitudine e a causa del sistema educativo.
Il femminismo non sta rendendo l'uomo una "femminuccia". Lo sta rendendo partecipe di una realtà monopolizzata dalle donne e senza il consenso totale di queste ultime. Perché il femminismo non è solo una lotta per i diritti delle donne: è una lotta contro le discriminazioni di genere. È una battaglia anche per quegli uomini che sentono di volere opportunità loro precluse completamente fino a qualche anno fa.
Il rovescio della medaglia del maschilismo, del sistema partiarcale, è infatti una rappresentazione negativa dell'uomo -di sesso maschile- in quanto animale. Stupido e pigro, incapace di avere accortezze elementari nel focolaio domestico. Succube dei suoi istinti primari, non minimamente in grado di controllarsi ed avere ragionamenti compiuti una volta attivato il bisogno sessuale. Un animale che può diventare violento, perché privo di intelligenza emotiva e preda di sentimenti incontrollabili come la gelosia o la rabbia. Un genitore di serie B, presente solo parzialmente nella vita dei suoi figli in caso di separazione e non solo, anche se in alcuni casi è stato più presente: ma, per il comune pensiero, non è il suo ruolo; è "meno propenso".
Una rappresentazione molto lontana dalla realtà per (fortunatamente) la maggioranza degli uomini. Una generalizzazione ed esasperazione frutto della violenza di pochi e della definizione limitante delle caratteristiche di genere.
Forse, se smettissimo di legare il Femminismo ad una rivendicazione unicamente femminile, ad una lotta per la supremazia ed il comando di una delle due parti.
Se la finissimo di legare i generi a degli schemi compiuti, solo perché più semplice.
Se ammettessimo l'esigenza di un repentino cambiamento di direzione sociale e culturale anzitutto...
Forse, potremmo cominciare a vivere non secondo dei ruoli impostati per mere questioni di religione e sopravvivenza in epoche ormai distanti anni luce, bensì seguendo il nostro bisogno di felicità. Che, badate bene, è ben lungi dall'essere controllato da un organo sessuale.
 (Articolo pubblicato primariamente sulla rubrica omonima di AostaCronaca)

Isabella Rosa Pivot