IL
GIARDINO DI LILITH
Ma chi è Lilith esattamente?
È una figura presente nelle antiche religioni mesopotamiche e nella prima religione ebraica. Nella religione mesopotamica, Lilith è il demone femminile associato alla tempesta, ritenuto portatore di disgrazie e malattie. Per gli antichi ebrei, invece, era la prima moglie di Adamo (antecedente ad Eva): fu ripudiata e cacciata dal Giardino dell'Eden, poiché si rifiutò di obbedire al marito che pretendeva di sottometterla.
Alla fine dell'Ottocento, in concomitanza con la crescente emancipazione femminile in occidente, Lilith diventa il simbolo del femminile che non si assoggetta al maschile.
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MI SENTO IN COLPA
- Ma a chi li hai lasciati i bambini?
- Al papà.
- Poveri cuccioli... Avranno nostalgia.
Qualche giorno fa ho moderato
un incontro con una grande scrittrice femminista, nota per il suo
blog "rosa" e controcorrente.
Abbiamo parlato di Donne, violenza e femminismo.
Un lungo momento di dialogo e confronto è stato dedicato al senso di
colpa che attanaglia noi donne costantemente.
È
una piccola tortura che ci hanno instillato da
bambine e ci corrode con l'avanzare degli anni, come una goccia che
scende a ritmo cadenzato, sullo stesso punto della nuca.
Proviamo senso di colpa quando siamo troppo stanche per giocare con i
nostri bambini; quando li lasciamo con i nonni per andare in
palestra; quando arrivano ospiti all'improvviso e la casa è in
disordine, anche se siamo in due a viverci; ci sentiamo in colpa se
lui ci tradisce o ci lascia, perché pensiamo di non aver fatto
abbastanza; ci sentiamo in colpa se lo abbiamo lasciato noi, perché
non ci rendeva felici; se mangiamo un dolce e non riusciamo a tornare
in forma come gli avevamo promesso o se non abbiamo fatto in tempo a
portare a termine tutte le faccende; se non desideriamo dei figli,
perché tutte le donne normali lo
vogliono.
"Se ci picchia perché la minestra era fredda, perché potevamo
scaldarla meglio", citando una testimonianza riportata dalla
scrittrice dell'incontro.
Ci sentiamo in colpa quando pensiamo a noi stesse, perché ci hanno
insegnato che la donna esiste in funzione delle relazioni che crea
attorno a se. Una donna non è mai completa: per esserlo deve essere
madre, moglie, compagna. La donna è nata per "prendersi cura
di" e, quando smette di farlo indipendentemente dal motivo, ecco
che la critica ricade sulle mancanze.
Si pretende la perfezione dalla donna in ogni campo, dall'aspetto
alle riserve energetiche. È
come se ogni essere vivente sulla terra pretendesse il suo pezzetto
di soddisfazione: devi essere in forma per il tuo uomo, figliare per
la società, lavorare e fare carriera, essere una brava casalinga per
la tua famiglia e essere impegnata socialmente che non guasta... ma
non troppo o inizi a dar fastidio.
Non troppo, esattamente. Perché tutto, per essere perfetto, esige
una giusta dose degli elementi ed è facile passare da "donna in
forma" a "fissata", da "brava donna di casa"
a "rompiscatole", da "donna indipendente" a
"carrierista egoista".
In questo marasma di pretese costanti, ci destreggiamo tra un compito
e l'altro con fatica e ansia da prestazione, cercando di colmare più
lacune possibili.
In tutto ciò ci dimentichiamo di noi stesse e più gli anni passano
e più il tempo per l'ozio, per noi e per i nostri piaceri ed hobby
sparisce. Cominciamo con il rinunciare a un aperitivo tra amiche, per
riuscire a fare le lavatrici e a finire il compito assegnato dal
nostro capo. Passiamo al rasoio dalla ceretta perché finito il
lavoro, chi li prende i bambini, che lui non ha il part-time. Non
troviamo più un giorno per noi: la cucina, il lavoro o persino lo
stirare diventano i "nostri momenti"; attimi che abbiamo
trasformato saggiamente in cuscinetti per salvaguardarci dai mali per
i quali dovremmo esser noi la cura.
Tutto questo perché ci sentiamo in colpa. Una volta instillata la
perfezione, ecco che ogni mancanza diviene colpa. E, quindi,
cerchiamo di non mancare mai in nulla.
Dobbiamo rivendicare il nostro tempo, i nostri sogni e i nostri
bisogni, perché nessuno ce li concederà.
Dobbiamo dimenticare i modelli insulsi che cercano di propinarci e
convincerci che è la nostra realtà che deve essere modellata
secondo il nostro benessere.
Dobbiamo smettere di sentirci in colpa, perché è di quello che si
nutre la paura e la violenza.
(Articolo pubblicato in primis sulla rubrica omonima di AostaCronaca)
Isabella Rosa Pivot
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