Spleengate

mercoledì 16 settembre 2020

IL GIARDINO DI LILITH: Femministe al Rogo

 

“Io stessa non sono mai stata in grado di scoprire cosa è esattamente il femminismo; so solo che la gente mi chiama femminista ogni volta che esprimo sentimenti che mi differenziano da uno zerbino.” (Rebecca West)



Ma chi è Lilith esattamente? È una figura presente nelle antiche religioni mesopotamiche e nella prima religione ebraica. Nella religione mesopotamica, Lilith è il demone femminile associato alla tempesta, ritenuto portatore di disgrazie e malattie. Per gli antichi ebrei, invece, era la prima moglie di Adamo (antecedente ad Eva): fu ripudiata e cacciata dal Giardino dell'Eden, poiché si rifiutò di obbedire al marito che pretendeva di sottometterla.Alla fine dell'Ottocento, in concomitanza con la crescente emancipazione femminile in occidente, Lilith diventa il simbolo del femminile che non si assoggetta al maschile.

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Femministe al Rogo

La storia del femminismo è fatta di molteplici battaglie e ben poche conquiste. Di certo, non vi è mai stata una totale inversione di rotta nel potere di genere. Ai miei occhi risulta quindi spesso incomprensibile l'immagine contemporanea che viene affiancata a quella della "femminista".

Per la concezione sociale comune, sia a molti uomini che donne, costei viene vista come una sorta di mostro abnorme e perlopiù irritante: una figura trasandata ed aggressiva, con l'unico scopo di sottomettere gli uomini e spaesare le coscienze con cambi di ruolo e rinuncia totale a ceretta e make up.

Le femministe sono le nuove streghe da cacciare e mettere al rogo: vogliono il caos in un mondo che, a detta di molti, non era perfetto ma "andava meglio". Attaccano, con furia permanente, ogni uomo che osi anche solo ironizzare o respirare.

Inutile il tempo usato a spiegare che il femminismo non corrisponde a nulla di tutto questo, ma che mira alla parità, all'equità e ad un benessere individuale e sociale generale, aumentando comprensione e adattando i ragionamenti sociali alle esigenze diverse che caratterizzano l'essere umano.

La concezione del femminismo ha ormai assunto un risvolto negativo, che pare impossibile da cancellare.

Perché una visione tanto errata e pessimista di un movimento che porterebbe sì, al giusto equilibrio di diritti tra uomo e donna, ma anche notevoli vantaggi per ambo i sessi?

La risposta più immediata potrebbe essere: la paura.

Gli umani, per lo più, hanno a cuore soprattutto sé stessi e le persone che fanno parte della loro ristretta cerchia parentale e amicale. Vedere il loro status quo potenzialmente alterato, causa loro una sensazione di disequilibrio che non porta ad afferrare gli eventuali vantaggi di una diversa visione, ma solo il disagio che il passaggio di mentalità comporta.

A ciò, si aggiunga l'aggravante della disinformazione diffusa: tante persone raccattano le prime idee di cui vengono a conoscenza e che danno loro la sensazione di essere largamente condivise. «Se molti ci credono, deve essere una cosa giusta. Quindi devo crederci anch’io»... attraverso tale logica, anche colui che non ha avvertito un disagio diretto, si sente preso in causa ed invogliato ad assumere tale posizione.

Nonostante le apparenze però, non si tratta di irrazionalità. Semplicemente, su ciò che conosciamo poco (perché, in fondo, ci interessa poco) non possiamo fare altro che affidarci a stereotipi, slogan e frasi fatte.

A tale breve spiegazione, vorrei però aggiungerne un'altra, decisamente personale.

Proprio perché sono un'accanita sostenitrice dell'impossibilità di cambiare la situazione circostante senza prima aver tentato di lavorare su sé stessi, ritengo che una parte della responsibilità sia del femminismo stesso.

Nel corso degli anni, le donne si sono limitate – anche per ovvia necessità – a combattere per ottenere i diritti più basilari, senza porsi la questione di adattarli in primis alla diversità dell'universo femminile.

Mi spiego meglio: la tendenza attuale del femminismo è spesso quella di cercare una somiglianza di comportamento similare (se non addirittura sovrapponibile) a quella degli uomini. Equità non significa uguaglianza e la parità di diritti dovrebbe racchiudere essa stessa una diversità di fondo.

Pretendiamo semplicemente giudizi e riconoscimenti equivalenti, accontentandoci di adattarci ad una situazione vecchia secoli ed assai rigida. L'obiettivo principale dovrebbe invece essere quello di abbattere del tutto questi schemi arcaici per crearne di nuovi, che siano modellabili sia sull'uomo che sulla donna, che ha – al contrario di quanto pare dimostrare talune volte – esigenze ben diverse dall'universo maschile e che coglierebbero meglio i suoi diritti e la sua libertà.

Sgomitare e pretendere spazio in una "casa già abitata" può infatti portare alla sensazione, per i padroni di casa, di essere spodestati e di perdere completamente la propria sicurezza. Benché sia sbagliato che quella "casa" veda degli unici padroni, il risentimento interno potrebbe far apparire le vittime quali carnefici ad un giudizio anche esterno.

Perché allora, non costruire qualcosa di nuovo da zero e, una volta visti gli effetti positivi di una dimora democratica e meritocratica, attendere che siano gli stessi vecchi padroni ad aver voglia di buttar giù quella vicina, ormai piena di muffa e dalle pareti crollate?

Isabella Rosa Pivot

(Articolo originale: www.valledaostaglocal.it)

venerdì 11 settembre 2020

IL GIARDINO DI LILITH: La donna di oggi è davvero indipendente?

 

Lilith è Donna. È un aspetto - o più - del nostro carattere. È irriverenza verso un sistema che deve cambiare


Ma chi è Lilith esattamente? È una figura presente nelle antiche religioni mesopotamiche e nella prima religione ebraica. Nella religione mesopotamica, Lilith è il demone femminile associato alla tempesta, ritenuto portatore di disgrazie e malattie. Per gli antichi ebrei, invece, era la prima moglie di Adamo (antecedente ad Eva): fu ripudiata e cacciata dal Giardino dell'Eden, poiché si rifiutò di obbedire al marito che pretendeva di sottometterla.Alla fine dell'Ottocento, in concomitanza con la crescente emancipazione femminile in occidente, Lilith diventa il simbolo del femminile che non si assoggetta al maschile.

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DONNE INVIDIOSE


L’invidia esiste ed è un sentimento della natura umana, presente e condiviso sia dagli uomini che dalle donne.

Eppure, la società fa maggiormente leva sull’invidia femminile: opinione comune è infatti che le donne fatichino ad andare d'accordo tra loro, continuamente divise da competizione accesa e pettegolezzi.

Risulta necessario scardinare questa convinzione errata, poiché la realtà è ben diversa:  le donne sono dotate di grande sensibilità. Si confrontano e sostengono tra loro.

Può ovviamente capitare che litighino, ma sono in grado di chiarire con lucidità, creando così relazioni di amicizia forti e profonde.

Il motivo per cui questo stereotipo permea ancora le nostri menti è legato all'istigazione sociale alla competizione tra donne.

La donna di oggi deve essere sia una compagna (o moglie) in grado di soddisfare il proprio uomo,  che una madre accorta, professionale ed ambiziosa lavorativamente, ma anche amica presente;

ovviamente, mantenendo un aspetto fisico costantemente impeccabile.
Da queste pretese ambiziose e irraggiungibili quanto la perfezione stessa, non può che svilupparsi un’invidia superficiale, istigata appunto dalla mancata soddisfazione di tali pretese verso se stesse; da tale rappresentazione che ci porta a sminuire la nostra figura immancabilmente lontana dai canoni richiesti.

In tale contesto, il confronto è inevitabile: in un modo legato all'apparenza, la realtà viene sfumata dai filtri dei social e dei media, facendoci sentire le uniche a non ottenere il successo in ogni campo; ecco, dunque, a chiederci "perché lei sì ed io no? Cosa ho di sbagliato?"

Un confronto dettato da parametri culturali imposti, che fanno inseguire canoni e obiettivi sbagliati o irreali.
Lo stesso stereotipo alimenta dunque questa "invidia femminile", sulla quale la società investe tempo e denaro, poiché redditizia e vantaggiosa. Un'invidia meno presente nel mondo maschile: vero, ma solo perché meno influenzato dalla dinamica del confronto schiavistico del nostro sistema economico.

Dimostrazione dell'assenza istintiva, o naturale, di questo sentimento è la forte collaborazione e l'elevato sostegno che dimostrano le donne nei rapporti di amicizia e di lavoro che permettono una conoscenza del sé maggiore: smontata la perfettibilità dell'altra donna, una volta conosciuta la sua realtà fatta di difficoltà come ogni altro essere umano, crolla anche il sentimento accusatorio verso se stesse.

Le donne dovrebbero ricordarsi del loro enorme valore, andando al di là degli stereotipi che ogni giorno ci vengono propinati. Una volta compreso che è impossibile "essere tutto" e che ognuna di noi ha qualità uniche, capacità ed obiettivi diversi, il concetto sociale di competizione smette di esistere.

E con esso, la stessa invidia superficiale, lasciando il podio all'esemplare e sostanziale amicizia femminile: quest'ultima, ove presente, è talmente forte da abbattere ogni barriera.

Isabella Rosa Pivot

(Articolo originariamente pubblicato su www.valledaostaglocal.it)

IL GIARDINO DI LILITH: Perché le quote rosa sono importanti?

 

Con il passare degli anni di studio, la mia opinione al riguardo si è completamente capovolta e ne ho meglio compreso l’ultilità. Anzi, necessità



Ma chi è Lilith esattamente? È una figura presente nelle antiche religioni mesopotamiche e nella prima religione ebraica. Nella religione mesopotamica, Lilith è il demone femminile associato alla tempesta, ritenuto portatore di disgrazie e malattie. Per gli antichi ebrei, invece, era la prima moglie di Adamo (antecedente ad Eva): fu ripudiata e cacciata dal Giardino dell'Eden, poiché si rifiutò di obbedire al marito che pretendeva di sottometterla.Alla fine dell'Ottocento, in concomitanza con la crescente emancipazione femminile in occidente, Lilith diventa il simbolo del femminile che non si assoggetta al maschile.

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Perché le quote rosa sono importanti


All’inizio dei miei studi in Scienze Politiche ero contraria alle Quote Rosa: non mi convinceva la teoria secondo cui fossero necessarie per via dell’arretratezza culturale del nostro paese. Con il passare degli anni di studio, la mia opinione al riguardo si è completamente capovolta e ne ho meglio compreso l’ultilità. Anzi, necessità. In questo articolo vorrei riportarvi un punto di vista diverso dai soliti articoli di attacco verso le Quote Rosa, sperando di darvi qualche elemento in più sul quale ragionare a proposito di un tema tanto controverso.

Nippet in primo piano dal Web

“Le  quote rosa sono un rimedio adottato da chi legifera per garantire una "quota" del sesso meno rappresentato nelle istituzioni politiche, nell'economia, nella direzione degli ordini professionali e così via” (Repubblica.it). Sono spesso viste di cattivo occhio, poiché la norma che le impone viene considerata “umiliante” per le lavoratrici e le donne in generale, nonché incostituzionale in quanto crea distinzioni (in questo caso di genere) tra cittadini. In realtà, il loro obiettivo è quello di aprire le porte a tutti i talenti disponibili.

In loro assenza infatti, i dati non lascerebbero scampo: dovremmo davvero incominciare a  pensare che gli uomini siano oggettivamente più bravi delle donne, visto che meno del 5% degli amministratori delegati – in Italia - è donna. Quando si parla di Quote Rosa in politica, è come se ci si dovesse preoccupare che l'obbligo di trovare donne da mettere nelle liste elettorali potrebbe portare a includere persone incapaci e non meritevoli, al solo scopo di pareggiare una discriminzazione fittizia.

Bisogna però rendersi conto che una classe dirigente (soprattutto politica) formata in maggioranza da maschi anziani e attaccata alle proprie comode posizioni di rendita non può che vedere come un problema vero e proprio, nonché un rischio, un rinnovamento che dia spazio a nuovi protagonisti, con modalità diverse da quelle del controllo tradizionale. Con la conseguente marginalizzazione costante femminile, in uno stato di totale assenza di barriere di difesa. In una società stagnante come la nostra, dobiamo iniziare a comprendere che garanzie rigide, anche a livello legislativo, siano ora l’unica via (per quanto ancora non sufficiente), per abbattere lo squilibrio di genere.

Se andiamo ad analizzare i dati, non possiamo che confermare l’importanza rivestita da questa norma in tal senso: Secondo l’Executive Outkool 2019  (il quale analizza le società quotate in Borsa), il numero di donne nei consigli di amministrazione in Italia è arrivato al 36,5%; è cresciuto dunque di ben sei volte in otto anni, da quando è stata introdotta la legge sulle quote rosa (120/2011).

Come ha affermato l’anno scorso  Barbara De Muro, Avvocato di ASLA, Associazione Studi Legali Associati: “È stata importantissima, perché ha permesso di modificare i consigli di amministrazione un po’ forzatamente, facendo entrare donne, ma anche giovani”.

Nei fatti, dunque, non esistendo in toto pari opportunità di partenza (neanche se vengono eliminati gli ostacoli formali), l’effettiva parità non potrà mai essere raggiunta attraverso la sola parità di trattamento, poiché le discriminazioni dirette e un complesso insieme di barriere indirette (culturali e non), impediscono alle donne di condividere il potere politico e non solo.  Le quote e le altre forme di azioni positive sono quindi un mezzo verso la parità di risultato. Nella speranza che rimanga il più temporaneo possibile.

Isabella Rosa Pivot

(Articolo originario: www.valledaostaglocal.it)