Spleengate

venerdì 11 agosto 2017

Perché non ti ho più




Non mi mancano le grandi cose, sai. Piccoli gesti, figure di pensiero, dettagli slabrati dalla mia fantasia.
Minuzie tali, ch’a volte penso che non mi manchi davvero. Che di nostalgia sia vestito il tuo fantasma, la convinzione che avevo di poterti relegare ai miei risvolti di futuro.

Solitudine, mi dicono. Gli amici ripetono che la questione è d’abitudine, ma io e te sappiamo che non è così. Perché prima di te ero solo, come un cane. E ci stavo bene. Ci stavo davvero bene, sai.
A non vederti zampettare scalza per casa; a non ritrovare le tue mutande incastrate nelle lenzuola; ad avere mille schifezze nell’armadio, che tu finivi prima ancora ch’io avessi sistemato; a non raccattare grovigli di capelli nella doccia e a non trovare segni di rossetto sui miei asciugamani.

A non pensare d’avere bisogno di spazi. Senza te. A non avere più medicine di un ospedale, a non ridurre l’alcool per farti felice.
A preferire il calcio ad una passeggiata, a non dover sopportare le tue lagne da ciclo o a non dover asciugare le tue lacrime dopo un film triste.

Ma la verità è che io e te si stava bene. Cazzo se si stava bene. E mi urlavi, a volte uscivi e temevo non tornassi più. Ma si stava maledettamente bene. Io mica m’ero accorto che te non eri felice. Non me l’avevi detto, non un accenno, non una ruga stonata nei tuoi sorrisi.
I miei difetti li conosco bene, quanto le mie lacune. Te le ho presentate poco a poco, così come conviene ai sentimenti e pensavo non ti fossero di tal peso.

Ma tu mi hai sbattuto la verità in faccia, in un solo schiaffo: le accortezze che non ho avuto, le incapacità di una vita. Tutto il marcio dell’autunno, che non mi hai lasciato il tempo di far cadere. E io all’inverno ci sono arrivato solo, porca miseria.
Avevo scelto te e non volevo grandi cose, sai. Piccoli gesti, figure di pensiero, dettagli colorati di una nostra malattia.

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