Spleengate

venerdì 19 maggio 2017

Uomini che aspettano


Non è un racconto e , se ti pare di aver capito subito, avrai tratto probabilmente la conclusione sbagliata. Per chi saprà cogliere, mi spiace: è un’analisi particolarmente fastidiosa. Lo so.

Certamente non sono mai stato un playboy. Sono il classico uomo sulla cinquantina che ha passato la vita sui libri. Non sono male, ma non ho di certo un fisico atletico o lo charme d’un uomo di successo. Conto le donne della mia vita sulle dita della mano e con nessuna di queste si è conclusa particolarmente bene.

Altrettanto sicuramente e per i motivi appena esposti, non mi immaginavo di finire nelle mire di Cristina, giovane donna in carriera, bella e splendente. Quelle che guardano i calciatori o i manager, mica gli studiosi d’antropologia.Bionda come il grano, a tratti così brillante da farmi dubitare di averci capito davvero qualcosa in questa vita. Altre volte invece, era così stupida e cocciuta, che una noce di cocco al suo confronto pareva morbida. Se ne usciva con delle stronzate colossali, ma con una convinzione tale che quasi diventano carismatiche e finivi per sorridere, come si fa con i bambini capricciosi con cui hai deciso di gettare la spugna.
Avete presente no?

Discreta e elegante, eppure eccessiva, quasi strabordante.

Non so se si può parlare d’amore, la mia è forse solo una semplice ossessione. Una patologia dell’insoddisfazione: come se ti avessero preparato la carbonara più buona della storia dell’uomo, per poi toglierti il piatto a metà pasto. Senza una valida motivazione… così, per diletto, nel vederti infastidito e sorpreso. Questo, però, l’ho capito solo dopo.

Attratto dalla sua bellezza, eliminati i giustificati timori relativi, credetti di averla in pugno. All’inizio. Mi guardava già dai primi incontri con gli occhi innamorati, persi e languidi. Sparava dolcezza a tratti, così da farmi credere di poter cogliere solo io quel suo lato infantile e smarrito, quella debolezza celata sotto la sua maschera di indifferenza.Quando mi resi conto d’essere fottuto, completamente pazzo di lei, Cristina l’aveva già avvertito da tempo, tanto che fu lei a farmelo notare una notte. Mentre facevamo l’amore, mi sussurrò  parole che non pensavo di desiderare più ormai. Le lenzuola profumavano di lei e sono quasi certo che il mio cuore smise di battere per un lungo, forse lunghissimo istante, prima di accelerare furiosamente.

Dopo quella sera, cominciò a sparire. Credevo si fosse spaventata, ripercorrevo ogni mio gesto. Mi sentivo al confine tra lo stalking insensato e il lecito diritto di possesso: insomma, era mia. Era mia, ormai. MIA. Come riusciva a starmi lontano? Come poteva lei? Sfuggente, la vedevo di tanto in tanto, per sua gentil concessione e aveva sempre gli occhi di una dolce malinconia, così mi illudevo ogni volta che sarebbe tornata quella volta.Quegli incontri erano una droga: mi sembrava d’annegare in un mare agitato e d’avere solo qualche breve boccata d’ossigeno dalle sue labbra di tanto in tanto, per gentil concessione, giusto per non farmi morire del tutto.

Un dannato mercoledì sera, la vidi con un altro. Vi giuro, credevo che vedendola con un altro uomo sarei morto. Invece, provai una sensazione alienante: come se non fossi in me e stessi guardando la scena dal di fuori. La osservavo come si osserva uno sconosciuto dai tratti o atteggiamenti bizzarri; come se stesse parlando e ridendo da sola, senza nessuno intorno.Conservai quel sentimento apatico ed iniziai a fare una ricerca sul suo passato, meticolosa e scientifica: volevo trovar il nucleo di creazione del suo atteggiamento incomprensibile e finii per ribaltare la mia vita e la mia consapevolezza individuale. Come spesso accade cercando di capire gli altri, d’altronde.

Poco importano quelli che identificai come lievi “traumi”, di Cristina. Scoprii che quasi tutti gli uomini che aveva avuto si trovavano nella mia condizione, in un ciclo perenne di dipendenza. Ciò che avvertivo come speciale, l’amore che credevo di offrirle, lei lo aveva già in tali quantità ed in così tante modalità che era ovvio non avrebbe mai più patito la solitudine, se solo lo avesse voluto.Uomini disposti ad aspettarla una vita, nella speranza di averla per se, solo e soltanto tra le loro braccia. Erano tutti in coda.

Inizialmente mi prese la rabbia, com’era giusto fosse: ok era bella, ma non era sta gran cosa, eh. Cosa aveva mai più di miliardi d’altre donne sulla terra, che cosa poteva offrire rispetto a donne più stabili emotivamente e meno subdole?! Li conobbi tutti: cercai tutti gli uomini che avevano scandito le sue scelte sentimentali, ripercorsi la psicologia che risiedeva dietro la loro mente bacata e soggiogata. La mia, di mente bacata e soggiogata. Sapevano tutti dell’animo libero di Cristina e delle sue frequentazioni: non le nascondeva mai, non ne aveva bisogno, perché non prendeva mai impegni espliciti con nessuno. Anzi, accettavano di buon grado la loro sorte, convinti che lei necessitasse di esperienze maggiori per poi cogliere il “vero amore”, il loro. Con animo redentore, erano convinti di poter cambiare e prima o poi incatenare l’impaurita e, a detta loro, ingenua ragazza. Mi permetto di ironizzare sulle loro vane speranze solo perché sono anche le mie: mi sento sciocco, eppure davvero non riesco a levarmi nemmeno io questa convinzione psicopatica.

Credo che lei non se ne accorga, che non lo faccia apposta. Vive davvero a istanti di forte emozione, per poi annoiarsi. Assetata di adrenalina, non riesce a diluirne il piacere e cerca continui e costanti picchi. Appena si sente legata o costretta, ecco che scivola  dalle catene senza alcuna esitazione. Esattamente come gli uomini che circuiva che, però, non erano abituati a questi sbalzi e, in una convinzione romantica e immatura di costanza sentimentale, subivano la disintossicazione. Per poi convincersi della positività di quello stato: l’irraggiungibile rimane eterno, non si sciupa mai.

No, non credo sia amore, ma una palese ossessione. Nonostante ciò e i segnali portati alla luce, a conti fatti, sono ancora qui. Una parte di me spera e spererà sempre che bussi alla mia porta, pentendosi della sua rinuncia.
Aspetto.

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