Spleengate

giovedì 11 giugno 2020

IL GIARDINO DI LILITH: Maschilisti in incognito

Ma chi è Lilith esattamente? È una figura presente nelle antiche religioni mesopotamiche e nella prima religione ebraica. Nella religione mesopotamica, Lilith è il demone femminile associato alla tempesta, ritenuto portatore di disgrazie e malattie. Per gli antichi ebrei, invece, era la prima moglie di Adamo (antecedente ad Eva): fu ripudiata e cacciata dal Giardino dell'Eden, poiché si rifiutò di obbedire al marito che pretendeva di sottometterla.Alla fine dell'Ottocento, in concomitanza con la crescente emancipazione femminile in occidente, Lilith diventa il simbolo del femminile che non si assoggetta al maschile.
*********


Maschilisti in incognito
Secondo Wikipedia, con “maschilismo” si identifica un “atteggiamento o forma mentis, basato sulla  presunta superiorità dell’uomo nei confronti della donna”.  La breve definizione ben delinea il concetto, esaltando il fatto che la presunzione di base non si estende  alla sola azione, bensì anche e prima di tutto al pensiero.
Talvolta, prevalentemente al pensiero.  Ed è il caso che andremo ad analizzare in questo articolo.  Esistono, infatti, molti maschilisti in incognito: sono uomini – ma, ahimè, anche donne spesso –,  solitamente colti, che apparentemente difendono la legittima parità tra i sessi, ma senza crederci davvero  interiormente. Taluni incosciamente – forgiati nella crisalide di un’educazione retrograda, che gli studi e  la vita non sono riusciti a scalfire fino in fondo - , altri razionalmente consapevoli della contraddizione  che li attanaglia.  Se i primi si lasciano sopraffare da piccoli comportamenti e/o frasi sessiste, senza riconoscerne i risvolti  gravi e contradditori, i secondi optano per una maschera particolarmente pesante, ma pur sempre meno  faticosa da indossare rispetto all’autoanalisi e all’evoluzione personale.
Bisogna sottolineare che questi uomini si rendono conto della stupidità del concetto di maschilismo, come  anche del giudizio negativo che li avvolgerebbe, nel caso in cui ammettessero i loro pensieri più profondi.  Il problema è che proprio non possono fare a meno di partire dal presupposto maschilista in ogni  approccio: come un drogato che sa di farsi del male, ma che non può comunque rinunciare alla sua dose.  Il presuppusto fondamentale è che, appunto, pensano che sostenere la parità sia conveniente, non la cosa  più giusta e migliore anche per loro.
I maschlisti in incognito sono quel perno nascosto della catena che ci lega al sistema patriarcale.  Doppiogiochisti, sono loro ad impedire la reale svolta, ormai più che necessaria: per creare una tale  contraddizione infatti, bisogna essere detentori di sufficiente cultura per riconoscere l’erroneità nel  palesare un simile pensiero e sono soliti ricoprire cariche fondamentali. Sono i maschilisti in incognito, i  primi ai quali dovremmo dedicare i nostri sforzi nella lotta di genere, non solo perché altrimenti  continuerebbero a vanificare ed a rendere debole – od anche nullo – il messaggio, ma soprattutto perché  paradossalmente, sono tra i maschilisti che hanno fatto un passo in più verso la comprensione.  Come li si riconosce?  Ebbene, è assai complesso, poiché fanno di tutto per non farsi scoprire. Sono la versione sofisticata del  “Io non sono razzista, MA...”.
Un primo indizio può essere dato da alcune affermazioni, delicate alle orecchie più abituate al sistema,  che lasciano trapelare un “fastidio” verso la considerazione paritaria.
Alcuni esempi:  - “Non sai cucinare?!” (con tono sorpreso e ironico) 
- “Le donne devono sapere di profumo, non di sigarette ed alcool/... Devono, devono, devono” 
- “Le donne nascono per essere madri”
- “Guarda che se fai così, passi per una facile. Te lo dico per il tuo bene”  - “Lascia stare, ti faccio vedere io”
- “Ovvio che se quella mette certe foto, se le cerca anche...”
- “Era sversa, aveva il ciclo probabilmente” 
- “La parità è necessaria, però secondo me il mantenimento dei ruoli è essenziale: siamo diversi”(  uguaglianza nei diritti e nelle libertà, non presuppone aspetto e pensieri uguali)
- “Sei pazza” (quando la donna si arrabbia. Per lui, lei non prova ira, diventa solo isterica)  Un secondo indizio è dato dall’approccio relazionale: se ad essere un maschilista in incognito è uomo, sarà difficile per lui mantenere relazioni stabili e durature; se non addirittura intraprendere una rapporto. 
Si sente di “altri tempi”, un’affermazione che gli sentirete usare spesso e che rivela davvero il suo sentore  interno, seppure espresso in forma diplomatica: “non mi sento a mio agio con la ritrovata libertà  femminile, perché non sono in grado di gestirla. Ho un’immagine di me costruita sulla facilità data dal  mio totale controllo e privo di confronto”, è questo che stanno realmente affermando.
Spaccerà galanteria provvisoria e possessività estrema per atti di amore; darà per scontato azioni che non  lo sono per nulla, come la liceità della sua libertà totale a discapito di quella della partner, o la necessità che sia lei a occuparsi delle faccende di casa. Il tutto avverrà con discrezione, senza necessità di comandi  o parole evidenti.
Un maschilista in incognito, non vi solleciterà mai a fare la lavatrice... Farà  semplicemente in modo di non riuscire mai ad occuparsene, eviterà di imparare a farlo, schiverà in  silenzio, cosicché la donna sia portata nella direzione voluta senza ch’ella se ne renda conto e si senta  comunque appagata dai suoi ringraziamenti saltuari. Un maschilista in incognito ha spesso difficoltà a  letto: deve mantenere il controllo e se non sentirà la sua posizione come dominante, non riuscirà a sentirsi  soddisfatto.
Queste sono solo alcune delle caratteristiche del maschilista in incognito.  Come possono cultura e maschilismo convivere? Non ha senso, potrebbe ribattere il lettore a questo punto  dell’articolo.
Vi ricordate il caso del fisico Alessandro Strumia, che ha pubblicamente affermato la sua discriminazione ai danni delle donne nella fisica? Ebbene, non si può certo dire che Strumia non abbia cultura. Quest’ultima, infatti, non ha nulla a che fare con l’intelligenza, sopratutto quella emotiva.
Il maschilismo, come ogni forma d’odio in generale, scaturisce dalla paura e dall’insicurezza e non solo dall’ignoranza. È  la bassa autostima a far pensare a questi uomini che un partner soggiogato e inferiore sia meglio: il  confronto obbliga a mettersi in discussione, confida nell’accettazione da parte dell’altro. Paura di non  essere all’altezza, che necessita quindi di un ruolo definito e dai contorni molto netti per evitare che  prenda il sopravvento. La libertà di essere, porta incertezza.
D’altronde, se la virilità viene identificata attraverso canoni esclusivi, come può un uomo sentirsi virile se  resta casa a tenere i bambini, mentre la moglie fa la scoperta di fisica quantistica del secolo?  Il maschilista in incognito ha paura di se stesso, prima ancora delle donne e fintanto che non saranno  portati a un’analisi interiore più profonda, anche la lotta per la parità sarà vana, poiché lasciata alla difesa  di soldati in panchina che tifano silenziosamente per il 
nemico.
Parlano di giustizia, per poi optare sempre per la strada opposta... Quella più facile, perché conosciuta, ma decisamente meno felice.

Isabella Rosa Pivot
(Pubblicato originariamente su www.valledaostaglocal.it)

giovedì 14 maggio 2020

IL GIARDINO DI LILITH: Cosa vogliono le donne?

Lilith è Donna. È un aspetto - o più - del nostro carattere. È irriverenza verso un sistema che deve cambiare



Ma chi è Lilith esattamente? È una figura presente nelle antiche religioni mesopotamiche e nella prima religione ebraica. Nella religione mesopotamica, Lilith è il demone femminile associato alla tempesta, ritenuto portatore di disgrazie e malattie. Per gli antichi ebrei, invece, era la prima moglie di Adamo (antecedente ad Eva): fu ripudiata e cacciata dal Giardino dell'Eden, poiché si rifiutò di obbedire al marito che pretendeva di sottometterla.Alla fine dell'Ottocento, in concomitanza con la crescente emancipazione femminile in occidente, Lilith diventa il simbolo del femminile che non si assoggetta al maschile.
*********
COSA VOGLIONO LE DONNE?
Si parla spesso, a proposito di femminismo, partendo dai problemi e da ciò che andrebbe cambiato. Lottando contro le discriminazioni, una ad una, condannando (giustamente) i comportamenti che recano danno alla parità di genere.  Insomma, in contrapposizione al sistema patriarcale.  Questa volta vorrei affrontare l’argomento da un punto di vista diverso e spesso relegato alle singole questioni e/o problematiche: descrivendo l’ideale positivo a cui punterebbe la parità di genere. 

Qual è l’immagine del mondo di una femminista?
Come vorrebbe la società una donna che lotta contro il sistema patriarcale?

Per riuscire a darvi un’idea dello scopo dietro la lotta femminista, vi racconterò della vita immaginaria di Matteo e Maria. O, meglio, di come sarebbe la loro vita in un modo in cui regna la parità di genere: l’EqualWorld.
Da bambini, Matteo e Maria possono giocare con qualsiasi cosa gradiscano: nell’EqualWorld, se Matteo gioca con le bambole non è affatto un problema, perché è importante che anche lui sviluppi protezione e accudimento; Maria, dal canto suo, può ricevere in dono anche il “piccolo chimico” e non per forza la lavatrice di Barbie.
Matteo e Maria sono educati allo stesso modo da piccini e, crescendo, ad entrambi vengono insegnate le faccende domestiche: è una questione di responsabilità e indipendenza, non di organo sessuale. I colori non li definiscono ed il loro carattere è analizzato nella loro unicità, non nell’appartenenza a degli stereotipi di genere: se Matteo picchia i suoi compagni è perché c’è un problema, non perché i maschi sono aggressivi; idem per Maria.  Negli anni, viene loro insegnata educazione sessuale e l’accettazione del proprio corpo.
A Maria viene insegnato di andare periodicamente dal ginecologo, ma anche a Matteo viene spiegato l’importanza dell’andrologo. In questo modo, Matteo non si farà paranoie nel caso sentisse che qualcosa “non funziona”, ma cercherà semplicemente di risolvere il problema, prevenendo così facendo anche molti disturbi e malattie.
Quando a Maria vengono le mestruazioni è un avvenimento importante, accettato e accolto con normalità, poiché il ciclo è parte integrante della vita. Viene spiegato bene anche a Matteo.  Durante l’adolescenza, Matteo non viene incitato ad avere rapporti sessuali senza ritegno e subito: ma a viverli con naturalezza, usando le protezioni e nel rispetto di chi sceglie come partner, anche fugace. Non è uno “sfigato” se preferisce aspettare e non è “figo” se passa da un letto all’altro senza giudizio e soprattutto, coscienza.
A Maria non viene detto di “non darla”, come se si potesse sciupare. Maria è libera di vivere il sesso come parte integrante della sua vita e di non essere giudicata nelle sue scelte. Per lei valgono gli stessi insegnamenti di Matteo, semplicemente.  Ad entrambi vengono spiegati i pericoli dietro alcool e droghe e i loro orari di uscita sono i medesimi, variano in base alle decisioni familiari: Maria non rischia di essere stuprata o drogata in discoteca e Matteo non viene giustificato con la scusa ormonale per i suoi comportamenti. 
Maria adolescente non viene guardata mai in maniera perversa e Matteo non viene sottoposto ad un’educazione pornografica pressoché irrealistica e che lo condurrà a molte insoddisfazioni. La lunghezza del suo membro non lo definisce per nulla, come la fisicità non è legata al carattere o all’intelligenza di Maria.  Nell’EqualWorld, Matteo e Maria possono viaggiare negli stessi posti del mondo, con gli stessi rischi che ogni luogo della terra può portare.
Maria può camminare da sola per strada senza terrore e preoccupazioni. Matteo ha altri interessi primari oltre al raggiungimento della soddisfazione sessuale e non ha bisogno di usare la violenza per essere definito un uomo “forte” e “virile”.  Maria non riceve avances da professori o datori di lavoro. Perché gli uomini vengono giudicati in maniera uguale alle donne: non propongono né accettano scambi di favore sessuali.
Il sesso non è merce, ma è una questione privata e libera; non c’è  bisogno di ricatti per ottenerlo e gli uomini sanno di valere di più di una soddisfazione temporanea.  Gli stupri e le violenze sono punite severamente e assai rare, poiché è stato insegnato il rispetto e il valore degli altri.  Nell’EqualWorld, non si condanna l’aborto.
Inoltre, lo stato lotta per garantire aiuti validi ai genitori (o genitore) che lavorano, permettendo loro di sostenere la famiglia senza la decapitazione professionale di uno dei due.  Matteo o Maria, se fanno un figlio, possono decidere insieme quale cognome dare (o magari dare entrambi), perché non è per forza il maschio a portare avanti il nome familiare. Non esiste, anzi, un “nome familiare” da trasmettere: sono questioni di poco interesse. Entrambi valutano positivamente l’opzione del lavoro part-time: molti uomini scelgono per primi di passare più tempo con i figli. Viene dato molto valore alla paternità: è una scelta esclusiva della coppia, che può essere alternata alla maternità e che non porta ad alcun giudizio esterno.
D’altronde, nell’EqualWorld, gli stipendi sono dati dal merito e non dal genere. A parità di lavoro, Matteo e Maria prenderebbero lo stesso stipendio e potrebbero ambire alle stesse mansioni. Se Maria guadagna di più di Matteo non è un problema per nessuno. 
Nel caso in cui Matteo e Maria divorziassero, i figli non sarebbero dati in affidamento quasi automatico alla madre: anche Matteo avrebbe gli stessi diritti. I “sacrifici” sono stati divisi in modo uguale tra le parti e non vi è una differenza sul lato economico, poiché non vi è stata alcuna rinuncia consequenziale all’esser madre e sostanziale dall’esser padre. La violenze domestiche sono rare, poiché il rispetto e l’assenza di una supremazia di genere è stata insegnata fin dalla tenera età e poiché le pene sono nuovamente molto severe.  I vestiti di Maria non la definiscono, i sentimenti di Matteo non lo condannano.  Matteo, invecchiando acquista fascino ed anche Maria: canoni sciocchi e illusori di bellezza eterna non vengono imposti.
I prodotti femminili non costano di più, la galanteria non è una spesa obbligata, ma una scelta delle singole parti. Può essere un’opzione di Maria e, se Matteo non la apprezzerà, non sarà semplicemente l’uomo per lei e viceversa.  Le donne non sono isteriche, gli uomini non sono tutti uguali.  Se a Matteo piace mettere il trucco non esclude che sia etero e, comunque nel caso, non interessa a nessuno perché non tange alcuno al di fuori di lui stesso.
Se Maria non vuole figli, non è strana e non deve per forza fare carriera: è solo libera di scegliere come meglio trascorrere la sua vita.

Mica male questa sensazione di libertà, non è vero? 

Isabella Rosa Pivot
(Articolo originariamente pubblicato su www.valledaostaglocal.it)

mercoledì 29 aprile 2020

IL GIARDINO DI LILITH: Essere Donne ai tempi del Covid19

Lilith è Donna. È un aspetto - o più - del nostro carattere. È irriverenza verso un sistema che deve cambiare


Ma chi è Lilith esattamente? È una figura presente nelle antiche religioni mesopotamiche e nella prima religione ebraica. Nella religione mesopotamica, Lilith è il demone femminile associato alla tempesta, ritenuto portatore di disgrazie e malattie. Per gli antichi ebrei, invece, era la prima moglie di Adamo (antecedente ad Eva): fu ripudiata e cacciata dal Giardino dell'Eden, poiché si rifiutò di obbedire al marito che pretendeva di sottometterla.Alla fine dell'Ottocento, in concomitanza con la crescente emancipazione femminile in occidente, Lilith diventa il simbolo del femminile che non si assoggetta al maschile.
*********
Essere Donne ai tempi del Covid19
Questo periodo di quarantena forzata ha messo ancor più in evidenza la disparità di genere che pervade l’Italia.
Se durante le interviste televisive ai Dottori, ci si limita a cercare risposte per questo nemico invisibile che ci sta invadendo, alle Dottoresse viene anche chiesto come riescono a gestire la vita familiare e il rapporto con i figli in generale.
Se l’infermiere viene semplicemente lodato per il suo contributo, l’infermiera riceve spesso insulti perché ha deciso di trascorrere giorni e giorni lontana dai figli per curare i malati e non contagiare la sua famiglia.
Se il Governo annuncia la chiusura fino a settembre delle scuole, pare automatico pensare che debba essere la donna a rinunciare al suo lavoro per tenere i bambini.
Se l’aborto viene negato o vi sono violenze domestiche, il silenzio regna sovrano; ma se qualche politico condivide un’idea complottista, il web si solleva più indignato che mai.
La verità è che, a differenza degli altri paesi europei, siamo indietro: tanto e in tutto.
Non solo nella garanzia dei diritti, ma ancor più nella mentalità sociale e nel nostro pensiero in generale.
Insistiamo nel relegare la donna al solo ruolo di moglie e madre, talvolta senza neanche una reale coscienza, ma per semplice abitudine. Al Tg nazionale hanno intervistato un Virologo di grande importanza: era donna ed è venuto spontaneo chiederle come facesse a badare ai suoi tre figli e a vedere suo marito in questa situazione così preoccupante. E lei, senza troppo pensarci, non ha ridicolizzato la domanda o spiegato che suo marito è un essere senziente quanto lei… Si è limitata a sottolineare quanto sia difficile: perché, in effetti, non è arduo pensare che il carico familiare resti comunque quasi tutto sulle sue spalle. Dal lato degli spettatori, in pochissimi hanno notato la discrepanza con le interviste fatte ai suoi colleghi e, un gruppo ancor più ristretto, si è indignato per questa evidente disparità.
Perché è NORMALE. Per l’Italia, paese nel quale la famiglia resta ancora una questione prettamente femminile, è giusto così. La donna è prima moglie e madre; se le avanzerà del tempo, potrà riuscire in altro, sempre che ciò non intacchi o non crei intralci ai suoi due ruoli primari.
Viene dato l’annuncio che le scuole resteranno chiuse fino a settembre: ecco un corteo virtuale di donne  offese e arrabbiate, pronte a protestare perché non sanno a chi lasciare i loro figli, una volta tornate al lavoro.
Ma il punto dovrebbe essere un altro: dovrebbe indignarsi la stessa quantità di uomini e scagliarsi contro una scelta che si ritiene ingiusta, perché costringe UNO dei DUE GENITORI a casa. Non è scritto da nessuna parte che sia la donna a dover rinunciare al suo diritto al lavoro, eppure è parso automatico alla maggioranza della popolazione.
D’altronde, siamo il paese con più casalinghe di tutta Europa, mentre nella maggior parte degli altri stati il carico familiare è diviso equamente in modo da permettere ad entrambi di provvedere anche alle questioni economiche.
Il vero nemico non è la scelta di tener chiuse le scuole, posizione governativa che andrebbe comunque valutata con più attenzione, vista la situazione già precaria e di forte crisi. La battaglia da mandare avanti dovrebbe essere quella di eliminare quest’automatismo DONNA – CASA, questa limitazione di pensiero che appartiene alle donne stesse e che è frutto di cultura, abitudine e troppi interessi celati.
Se essere donne in Italia rende tutto più faticoso, essere donne in Italia ai tempi del Covid19 rende tutto quasi impossibile.
Alle problematiche comuni a tutti i cittadini (precarietà, difficoltà economiche, incertezza, salute, reclusione forzata), se ne aggiungono di ulteriori ed estenuanti.
Addio al diritto all’aborto, via libera a violenze e soprusi: i controlli e gli aiuti sono pochi e da casa non ci si può muovere; carico familiare raddoppiato e spesso comunque non condiviso; svalutazione delle competenze; difficoltà di gestione casa-lavoro.
Dobbiamo smetterla di tacere e considerare normale ciò che non lo è. Dobbiamo finirla, noi donne in primis, di condividere ed alimentare un pensiero che va acontro i nostri interessi e ci rende succubi del sistema.
Non siamo solo mogli e madri, non siamo oggetti né tantomeno costrette a restare delle vittime.
Siamo un ingranaggio essenziale di un sistema che deve iniziare a funzionare con più rapidità ed efficienza e che, senza di noi, non potrebbe nemmeno accendersi.
Siamo anche lavoratrici: dottori, artigiani, commercianti. Siamo libere.
Siamo prima di tutto Donne e abbiamo dei diritti, non solo doveri a senso unico.
(Originariamente pubblicato su: www.valledaostaglocal.it)

Isabella Rosa Pivot

martedì 14 aprile 2020

IL GIARDINO DI LILITH: SOLA. CON TE

Lilith è Donna. È un aspetto - o più - del nostro carattere. È irriverenza verso un sistema che deve cambiare



Ma chi è Lilith esattamente? È una figura presente nelle antiche religioni mesopotamiche e nella prima religione ebraica. Nella religione mesopotamica, Lilith è il demone femminile associato alla tempesta, ritenuto portatore di disgrazie e malattie. Per gli antichi ebrei, invece, era la prima moglie di Adamo (antecedente ad Eva): fu ripudiata e cacciata dal Giardino dell'Eden, poiché si rifiutò di obbedire al marito che pretendeva di sottometterla.Alla fine dell'Ottocento, in concomitanza con la crescente emancipazione femminile in occidente, Lilith diventa il simbolo del femminile che non si assoggetta al maschile.
*********
SOLA. CON TE
Siamo tutti chiusi nelle nostre case. I giorni si susseguono, senza distinguersi. C’è chi ne profitta per recuperare arretrati e lavori in sospeso; chi si riposa e ozia; chi impara nuove ricette e arti.
Sono molte le persone sole, lontano dagli affetti.
Altre sono fortunate ad avere la famiglia, il partner accanto. Spesso, però, anche quest’ultima situazione – e lo sappiamo bene – si può trasformare in una tragedia: violenza fisica e psicologica possono diventare armi potenti per una vittima costretta a rimanere al chiuso con il suo carnefice.
Sono molti i centri che si sono attivati in tal senso (numero nazionale Centri antiviolenza: 1522), ma ciò potrebbe non bastare. Dobbiamo renderci conto anche di queste realtà e non sottovalutare né la nostra fortuna -nel caso stessimo invece vivendo una situazione felice - né la possibilità che sia più vicina a noi di quanto pensiamo: apriamo le orecchie e i cuori. Se sentiamo, nel nostro palazzo o nelle case vicine, rumori che potrebbero portarci a sospettare un caso di violenza, siamo tenuti ad aiutare, informando i centri antiviolenza e, eventualmente, le forze dell’ordine.
La violenza psicologica è più sottile di quella fisica: colpisce anche molti uomini e nemmeno le vittime stesse sono spesso in grado di riconoscerla. Questo è anche il motivo per cui viene frequentemente sottovalutata, minimizzata, seppur il malessere relativo sia decisamente vincolante e dannoso.
Tra le violenze psicologiche ve n’è una, capace di portare alla pazzia, alla frustrazione e al masochismo anche le persone più stabili: l’isolamento.
Parrebbe ironico: come si può essere più isolati di così? Si può. Eccome.
La solitudine è spesso un peso di grandi dimensioni da portare. Nello stato di emergenza in cui ci troviamo, può diventare una tortura logorante. Ma, citando il grande Robin Williams, “pensavo che la cosa peggiore nella vita fosse restare solo. No, non lo è. Ho scoperto invece che la cosa peggiore nella vita è quella di finire con persone che ti fanno sentire veramente solo”.
In davvero poche occasioni si parla con serietà dei partner violenti attraverso silenzi mirati, assenze di coinvolgimento nelle decisioni (in apparenza semplici mancanze di rispetto) e capaci di sminuire costantemente, con parole e sguardi. Quello che potreb
be apparire come un aspetto del loro carattere è in realtà una tecnica manipolativa forte, che porta la vittima a svalutarsi, a provare una grande tristezza e solitudine. Una manipolazione che, perpetrata a lungo e in maniera continuativa durante la giornata -intensificata ora dalla quarantena -, può portare a ripercussioni psicologiche non indifferenti.
Certo, non è la situazione peggiore che potrebbe capitare.
Vorrei, però, dar voce anche a questo piccolo e silenzioso gruppo di vittime che ogni giorno affronta il dolore, senza il più delle volte capire da dove provenga. Che in questo periodo di isolamento sente le mure ancor più strette; la solitudine ancor più vorace.
Vorrei invitare queste vittime a riconoscere il comportamento malsano che si cela dietro le mancanze che li privano, ogni singolo giorno, della fiducia necessaria ad affrontare la quotidianità.
Per sconfiggere un male simile, l’unico modo è tornare ad amarsi. Fortificare l’autostima e attendere: la quarantena finirà e, forse, anche il loro isolamento personale.
E via dicendo.
Facciamo attenzione a cosa scegliamo di tenerci dentro per la vita.

Isabella Rosa Pivot
(originariamente pubblicato su www.valledaostaglocal.it)

sabato 21 marzo 2020

IL GIARDINO DI LILITH: HO SPOSATO MIO FIGLIO

Lilith è Donna. È un aspetto - o più - del nostro carattere. È irriverenza verso un sistema che deve cambiare

Ma chi è Lilith esattamente? È una figura presente nelle antiche religioni mesopotamiche e nella prima religione ebraica. Nella religione mesopotamica, Lilith è il demone femminile associato alla tempesta, ritenuto portatore di disgrazie e malattie. Per gli antichi ebrei, invece, era la prima moglie di Adamo (antecedente ad Eva): fu ripudiata e cacciata dal Giardino dell'Eden, poiché si rifiutò di obbedire al marito che pretendeva di sottometterla.Alla fine dell'Ottocento, in concomitanza con la crescente emancipazione femminile in occidente, Lilith diventa il simbolo del femminile che non si assoggetta al maschile.

*********



Mamme morbose con i figli maschi

“Chi mi porti a casa stavolta?!”

Lo abbiamo incontrato tutte l’uomo “mammone”. Quello che, nonostante l’età ‘avanzata’, vive ancora dalla madre; che non è in grado di lavarsi una maglia, o di mangiare da solo; che cerca la donna ideale tra i cloni della sua Dea materna.
Sono dolci, premurosi, agli inizi. Fintanto che non si rendono conto che non sei la loro mamma, anzi, non sei alla sua altezza. Non riesci a prendere il suo posto, ed ecco che si svelano nella loro più crudele immaturità, nella loro depressiva insoddisfazione che li porta a relazioni durevoli quanto un amore estivo adolescenziale.

Ma anche i mammoni non sono tutti uguali: ebbene sì, di tipologie ne esistono molteplici e variano tutte a seconda della situazione familiare in cui i mammoni sono cresciuti.

La tipologia specifica che mi interessa analizzare in questo articolo è quella che ritengo la più pericolosa, perché più infima… Quando il figlio diventa il marito di sua madre, non tanto un cocco stra-viziato.

Il quadro familiare prevede, in linea generale, un padre assente o mai stato presente.
Un padre che non ha adempiuto ai suoi compiti, il più delle volte un eterno ‘Peter Pan’. La madre, per forza di cose, diventa una donna ancor più tosta di quanto – probabilmente – già non fosse. Meritevole di tutto il rispetto: adempie con il figlio (o i figli) il compito di due figure genitoriali, sotto tutti gli aspetti. È però umana e, come tale, non potrà comunque colmare le lacune lasciate dal compagno e dalla sua figura.
Inoltre, se particolarmente ferita o non più giovanissima, potrebbe decidere di non avere più un partner o non riuscire a creare un’altra relazione stabile. È in tal caso che si compie il malefico incantesimo e la donna scivola in errore: fa infatti ricadere sul figlio maschio, l’unico uomo capace di amarla incodizionatamente, tutte le sue attenzioni e pretese.

Lui sarà non solo folgorato da un’immagine di donna d’acciaio che pretenderà da qualunque donna incontri nel suo cammino, ma assumerà anche il ruolo di “Padre” assente e si sentirà in dovere di prendersi cura di tutti i componenti residui della famiglia; sua madre in primis. Non riuscirà a creare una famiglia realmente sua, a creare una stabilità relazionale: la sua PRIMA donna sarà sempre la madre. Sarà lei e lei
soltanto ad avere il controllo sulla sua casa - nel caso ne avesse una- , sulla sua gestione finanziaria, sui rapporti amorosi. La madre avrà il giudizio finale su tutto e, puntualmente, nessuna donna sarà all’altezza di suo figlio, poiché guidata da una gelosia nascosta, da un bisogno emotivo indistruttibile.

Il mammone-marito ci si mette anche anni a riconoscerlo, a volte una vita: è un uomo che si presenta paritario con la sua compagna, ma cela un profondo maschilismo, giustificativo del comportamento del padre. Contradittorio all’apparenza, ma lineare se consideriamo che vede la figura materna come quasi divinizzata ed estranea, dunque, alla logica dei sessi.
Tenderà a sminuire la compagna, con la cadenza di una goccia ritmata sul capo, per modellarla a mera apparenza di una vita familiare secondaria e utile solo all’immagine di lui in società. L’unica donna è la madre e la sua famiglia principale sarà sempre quella di origine: la partner non sarà mai una sua priorità.
Si sentirà in dovere di compiere azioni verso la famiglia originaria che vanno oltre le attenzioni ordinarie, mettendo in secondo piano tutto il resto. Sempre che la relazione duri abbastanza a lungo e questo succede esclusivamente nel caso in cui la partner possieda un carattere particolarmente discreto, con probabile sindrome da “crocerossina”. Il posto per un’altra donna infatti non esiste già prima dell’arrivo della compagna e persino dall’inizio della sua crescita sessuale: quel posto è già preso dalla nascita.
Il mammone-marito difficilmente cambia: o si accetta o si scappa.

Ma di tutto questo discorso, un concetto mi preme che venga alla luce più di altri…

Il sistema patriarcale è più forte che mai: uomini e donne sono ben lungi dall’avere gli stessi diritti. La colpa non è solo degli uomini, ma anche delle donne.

Portiamo un fardello di colpa diviso a metà: gli uomini vengono ANCHE educati dalle donne. Ogni essere umano è di una complessità incredibile e non è dato a me analizzare il frutto delle evoluzioni psicologiche. È però evidente che ci sono molte madri con un rapporto morboso verso i loro figli maschi, come molti padri con le rispettive figlie femmine.
Non risolvere i nostri traumi emotivi significa caricare degli stessi i nostri figli, che a loro volta ne genereranno di altri consequenziali, che
scaricheranno alla loro prole. E via dicendo.

Facciamo attenzione a cosa scegliamo di tenerci dentro per la vita.



Isabella Rosa Pivot
(pubblicato originariamente su www.valledaostaglocal.it)

giovedì 20 febbraio 2020

IL GIARDINO DI LILITH: Anche gli uomini hanno un cervello






Ma chi è Lilith esattamente? È una figura presente nelle antiche religioni mesopotamiche e nella prima religione ebraica. Nella religione mesopotamica, Lilith è il demone femminile associato alla tempesta, ritenuto portatore di disgrazie e malattie. Per gli antichi ebrei, invece, era la prima moglie di Adamo (antecedente ad Eva): fu ripudiata e cacciata dal Giardino dell'Eden, poiché si rifiutò di obbedire al marito che pretendeva di sottometterla.Alla fine dell'Ottocento, in concomitanza con la crescente emancipazione femminile in occidente, Lilith diventa il simbolo del femminile che non si assoggetta al maschile.
*********
Ebbene sì.
Potrebbe apparirci assurdo, dopo almeno un secolo di svalutazione delle facoltà mentali maschili a favore di quelle sessuali, di frasi come “gli uomini ragionano con il pene” e “non si sanno controllare”; ma la verità è che hanno anche loro un cervello funzionante quanto il nostro (o, perlomeno, ciò è valido per la maggior parte della popolazione, sia maschile che femminile).
L’ironia della questione sta non tanto nel ritenere simili concetti come assodati, bensì nel valutarli punti di forza, oppure piccole debolezze da accettare con un sorriso, o ancora una scusante automatica per gli errori. Insomma, in primis gli uomini difendono la loro presunta carenza neuronale, a vantaggio di più libertà e meno giudizio. Sono felici di essere sminuiti e regrediti al livello di una scimmia e non vorrebbero di certo fare a cambio con la controparte femminile, ritenuta più acuta ma al contempo responsabile delle proprie azioni.
“La donna è più intelligente, è il vero traino della società” è una delle frasi tipiche del maschio <<finto femminista>>, convinto di fare un complimento e dissetare gli animi aridi delle donne insoddisfatte dei propri diritti. Invece, anche se spesso inconsciamente, sta alimentando uno dei più grandi alibi portati a discolpa dei reati maschili: “non si è trattenuto”, “ha perso la testa”, “la passione lo ha travolto”, “lei lo ha istigato”. Parliamoci chiaro: il pene non ha connessioni neuronali.
L’uomo che tradisce la moglie non è stato guidato da un istinto che perdura per giorni. Un esempio? Vedendo una bella fanciulla, non si è calato i pantaloni e ha illogicamente sbattuto i fianchi contro il muro, in preda a un’epilessia sessuale, giusto?! L’ha commentata con gli amici, ha bevuto delle birre, ha studiato come conoscerla. Ha lavorato, ha giocato con i bambini, è andato in palestra nei giorni in cui le scriveva. E se il suo organo sessuale fosse anche in grado di gestire simili attività, sarebbe da considerarsi una mente funzionale di tutto rispetto. I momenti di passione, la perdita di concezione del rischio e/o delle conseguenze, possono capitare ad entrambi i sessi. Se la donna se ne assume la responsabilità, non vi è motivo alcuno per il quale all’uomo debba essere invece concessa l’infermità mentale al processo delle relazioni.
Questo è lo stesso ragionamento che porta ad assolvere gli stupratori, a giustificare gli uomini violenti, a perdonare un femminicidio: l’istinto è predominante nell’uomo, la ragione è questione femminile… Diamo il via libera, con un simile preconcetto, a qualsiasi tipo di violenza. Questo, però, non è il solo motivo per cui, quella che pare una banale e divertente “verità” tramandata, nasconde in realtà pericolose conseguenze. Affermare che “l’uomo ragiona con i genitali” è davvero svilente. Gli uomini non sono animali, gestiti dalle pulsioni e dagli istinti.
Hanno una mente e delle capacità straordinarie e banalizzare i più per la poca voglia di assumersi la responsabilità, o per l’aggressività e la limitatezza di pochi, ha ben poco senso ed è palesemente ingiusto.
Smettiamo di fare questa considerazione alla stregua di una battuta, di continuare ad abituarci verbalmente ad una situazione illusoria e che era comoda per una società che non è più la nostra. Impariamo a fare più attenzione agli insegnamenti, ai proverbi e alle abitudini che assumiamo: non releghiamoci al ruolo di primati. 

(Pubblicato su valledaostaglocal.it)

Isabella Rosa Pivot


venerdì 31 gennaio 2020

IL GIARDINO DI LILITH: Le donne vanno “interpretate”. No, vanno solo ascoltate

Lilith è Donna. È un aspetto - o più - del nostro carattere. È irriverenza verso un sistema che deve cambiare



Ma chi è Lilith esattamente? È una figura presente nelle antiche religioni mesopotamiche e nella prima religione ebraica. Nella religione mesopotamica, Lilith è il demone femminile associato alla tempesta, ritenuto portatore di disgrazie e malattie. Per gli antichi ebrei, invece, era la prima moglie di Adamo (antecedente ad Eva): fu ripudiata e cacciata dal Giardino dell'Eden, poiché si rifiutò di obbedire al marito che pretendeva di sottometterla.Alla fine dell'Ottocento, in concomitanza con la crescente emancipazione femminile in occidente, Lilith diventa il simbolo del femminile che non si assoggetta al maschile.
*********
Le donne vanno “interpretate”. No, vanno solo ascoltate
Come promesso nel mio ultimo articolo, “Uomini che non accettano il No”, affronterò oggi uno dei più grandi stereotipi che circondano la figura femminile: la necessaria interpretabilità delle parole di una donna. 
Argomento spesso trattato con ironia, banalizzato e persino fatto proprio da alcune donne, da quanto viene sistematicamente riproposto: “se una donna dice NO, significa FORSE”.
Vi ricorda forse qualche Meme, detto popolare, o video sui social?
Ebbene, immaginatene l’applicazione e le crude conseguenze. Provate a pensare ad un uomo cresciuto con una simile convinzione: prenderà sul serio il rifiuto di una donna o insisterà, convinto che sia una modo per farsi desiderare? Non è forse questa l’anticamera della violenza? Vi siete dati sicuramente una risposta.
Il permesso, il consenso, passano dal linguaggio verbale: un linguaggio non verbale può essere frainteso, un “NO” non dovrebbe MAI esserlo.
Eppure è ciò che accade quotidianamente. Le parole di una donna vengono spesso sottovalutate, considerate complesse e ben poco dirette, banalizzate con la semplice scusa dell’andamento ormonale.
Le donne in primis si prendono poco sul serio e invalidano le proprie stesse scelte, perché convinte fin da piccole che i loro ragionamenti sono troppo intricati. Poniamoci però ora due domande: “Sono io ad essere troppo complessa, o la controparte maschile è stata educata a ragionare in base a schemi più semplicistici dei miei, tanto da non riuscire a capirmi?”; e altresì: “la mia risposta è complicata, oppure non sono in grado di esprimerla in modo più diretto perché mi hanno insegnato che non sono a conoscenza del mio reale volere?”.
Perché, purtroppo, bisogna prendere atto anche dell’altro lato della medaglia ed ammettere che spesso noi donne non abbiamo un’autostima sufficiente, al pari del genere maschile. Vuoi per educazione, influenza mediatica, retaggio o difficoltà delle opzioni sociali a nostra disposizione, siamo state abituate a un’insicurezza cronica. A una frustrazione di base da un lato e, dall’altro a un’aggressività che scaturisce da quella stessa frustrazione. Viviamo spesso in un limbo bipolare, che ci porta a dubbi costanti sulle nostre scelte, frequentemente in funzione di un giudizio che ci vincola moralmente più di quello per noi stesse.
Il punto è questo: qualsiasi sia il rifiuto che non viene rispettato come tale, diventa un supporto in più alla violenza di genere. Non esistono NO di minor valore.
L’ascolto, la comprensione e l’accettazione sono necessarie pretese.
Ogni situazione fraintesa che viene lasciata passare è come un mozzicone di sigaretta: lo gettiamo a terra pensando che uno in più non faccia la differenza. Ed invece è l’ennesimo mozzicone che inquina. Un pezzo in più nella montagna di spazzatura che sta avvelenando centinaia di donne e che potrebbe colpire anche la nostra, di salute.
L’educazione degli altri avviene prima di tutto attraverso i nostri comportamenti ed il cambiamento di noi stessi. Solo migliorandoci prima, diventando un esempio per altri poi, possiamo sperare in un reale cambiamento di rotta.
Cominciamo a pretendere rispetto per le nostre idee e le nostre scelte. Al contempo, iniziamo a combattere le stigmatizzazioni che hanno guidato la nostra crescita di donne, acquisendo maggior consapevolezza di noi stesse ed autostima.
All’essere umano in generale capita d’essere indeciso; di cambiare idea e opinione maturando; di avere il morale a terra.
Non è un’esclusiva femminile che caratterizza il nostro, di genere.
Non siamo COMPLICATE, ROMPI-SCATOLE e nemmeno VOLUBILI.
Siamo DECISE, CONSAPEVOLI di ciò che ci fa stare bene e, soprattutto, LIBERE.

Isabella Rosa Pivot