Spleengate

sabato 24 ottobre 2020

IL GIARDINO DI LILITH: IL COMPLESSO DI DIDONE: quando la donna forte s’innamora dell’inetto

 

“Io stessa non sono mai stata in grado di scoprire cosa è esattamente il femminismo; so solo che la gente mi chiama femminista ogni volta che esprimo sentimenti che mi differenziano da uno zerbino.” (Rebecca West)


IL COMPLESSO DI DIDONE: quando la donna forte s’innamora dell’inetto

Didone è una figura mitologica, probabilmente il mio personaggio preferito dell’Eneide.

Forse perché è una delle poche donne davvero toste dei testi antichi, ma anche per la contraddizione di fondo della sua storia, tanto piena di gloria quanto di debolezza umana.

Tante sono le donne in gamba e indipendenti che, come lei, cascano nel tranello dell’inetto avvelenato dallo spleen: ma perché?


Didone rappresenta tutto ciò che una donna, con un minimo di intelligenza, vorrebbe essere:

- bella.

Ma non di quella bellezza plasticata che ci propinano come figura di riferimento. Didone è di una bellezza che trascende l’età e le rughe, che va oltre le scollature e le labbra rigonfie. La vera bellezza è questione di fascino e questo personaggio, non più giovanissimo, ne ha a quintali.

- di carattere.

Didone rimane vedova di un uomo che ha amato. Essendo Regina, il cognato le propone di sposarlo per farlo diventare Re, al fine di conservare il potere regale… Ma a lei l’ “accomodamento” non piace proprio e preferisce la libertà: rinuncia a tutto e se ne va. Presa di posizione che, generazioni di donne prima, avrebbero faticato anche solo a pensare.

- intelligente.

Didone fonda una città. Nel mondo antico non ci sono donne fondatrici di città, nemmeno nel mito. Lei, invece, ottiene con l’astuzia una terra e ci fonda Cartagine, capitale futura di ogni rotta commerciale. Dove c’era una palude, lei ci vede un porto strategico; dove c’erano contadini sparsi, lei crea un popolo unito: se non è capacità ed intelligenza questa…

Insomma, una Donna con la “D" maiuscola, la regina Didone.

Come fa dunque una simile donna a cascare ai piedi di un uomo come Enea? Ok, ha la madre Dea, ma una suocera simile risulta più un incubo che un vantaggio. Giunge da lei distrutto con poco più di mezza nave, scaraventato dal fato, pieno di malinconia.

Sfuggita ad ogni uomo che voleva incatenarla, sconfiggerla e sottometterla, non riesce però a resistere all’incantesimo del principe dei Dardani.

Si amano, ma tra loro è tutto un tira e molla: lui se ne sta lì, tutto il giorno sul davanzale, a scrutare l’infinito delle sue angoscie e delle sue paure. Rimorsi per la moglie perduta, controllo materno, nostalgia di qualcosa che non esiste.

Didone è angosciata, non capisce. Già deve governare una città e gestire mille problemi… Se Enea avesse un paese a cui tornare come Ulisse e una donna che lo attende, potrebbe addirittura capire. Ma non c’è nulla, se non questo dolore immotivato che lo tormenta e in cui si crogiola e si culla.

Didone le prova davvero tutte e non molla: ha risolto problemi immensi, come è possibile che non riesca a rendere felice il suo uomo! Con il tempo, addirittura si annulla, per cercare di dimostrargli che non deve sentirsi un fallito.

I suoi sogni passano in secondo piano. D’altronde, è anche lei fragile e bisognosa d’amore come tutti: alla ricerca d’un modo per riversare la sua tenerezza e dolcezza, schiacciate dalle lotte quotidiane in un mondo di uomini.

A Enea, però, non interessa e non basta: non è cattivo, che anzi sarebbe anche meglio; l’uomo perfido lo puoi eliminare facilmente e ti permette persino di giustificare il dolore che crea. Enea, invece, è di quelli che lasciano in sospeso l’anima, che non si capiscono, che fanno soffrire senza far male. Uomini che non vogliono essere salvati, ma che amano crogiolarsi nel dolore e nella melanconia. Buoni e dolci, eppure persi solo in loro stessi.

Enea alla fine scappa di nascosto, come un codardo. Con la scusa di non voler farla soffrire e di essere chiamato al suo destino.

Didone gli aveva dato tutto e così, disperata, si ammazza con la sua stessa spada.

Ecco concretizzata la didoneite. Invece di guardarlo andar via, con sorriso pacato e un velo di tristezza, per poi tornare ai suoi affari… Lei butta tutto all’aria. Invece di riprendere le sue attività più forte di prima, lei si lascia andare. Come può una donna forte, bella e intelligente come Didone cascare in un simile tranello, tra le mani di un uomo tanto inadeguato?

Di Enea in realtà se ne incontrano e può essere comprensibile, dopo tanto tempo di quotidiana lotta, cascarci. Ma giunta la fine, non si può cancellare ogni cosa per un dolore che non ci appartiene.

Le donne toste lo sanno: là fuori è una guerra e non si può mai abbassare la guardia. Anche quelle più forti hanno però bisogno d’amore e calore e in un mondo simile è assai arduo: forse per questo che ogni tanto crollano dinanzi a degli inetti a vivere?

Innamoratevi pure di Enea, signore. Ma non lasciate mai che distrugga la vostra Cartagine.

(Originariamente pubblicato su www.valledaostaglocal.it)

Isabella Rosa Pivot


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