Spleengate

venerdì 17 gennaio 2020

Il Giardino di Lilith: Uomini che non accettano il No

Lilith è Donna. È un aspetto - o più - del nostro carattere. È irriverenza verso un sistema che deve cambiare








Ma chi è Lilith esattamente? È una figura presente nelle antiche religioni mesopotamiche e nella prima religione ebraica. Nella religione mesopotamica, Lilith è il demone femminile associato alla tempesta, ritenuto portatore di disgrazie e malattie. Per gli antichi ebrei, invece, era la prima moglie di Adamo (antecedente ad Eva): fu ripudiata e cacciata dal Giardino dell'Eden, poiché si rifiutò di obbedire al marito che pretendeva di sottometterla.Alla fine dell'Ottocento, in concomitanza con la crescente emancipazione femminile in occidente, Lilith diventa il simbolo del femminile che non si assoggetta al maschile.
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Uomini che non accettano il NO
Tra i tanti stereotipi legati alla comunicazione uomo-donna, vi è quello sulla necessaria interpretazione delle affermazioni e negazioni femminili: ciò che dice la donna non significa necessariamente ciò che intende realmente dire. 

È da questo assunto, errato quanto radicato nel comune pensiero, che l’uomo tramuta l’insistenza in necessaria e caratterizzante il flirt: il rifiuto di lei potrebbe nascondere, in realtà, un interesse che non può manifestare; vuoi perché impegnata, per il giudizio negativo che pensa ne potrebbe conseguire, o perché le piace “farsi desiderare”.
I motivi e la sostenibilità di questa dannosa credenza nei riguardi della comunicazione femminile sarà argomento del prossimo articolo. Oggi vorrei, invece, definire una volta per tutte l’inviolabilità dei “NO” della donna: l’insistenza maschile non è sempre e solo motivo di desiderio e dunque di un nostro relativo e automatico orgoglio; anzi, la maggior parte delle volte può risultare offensivo e persino creare timore, insicurezza ed ansia.
Proprio l’altro giorno, mi è capitato un uomo incapace di considerare il mio rifiuto come valido. Mi scriveva da giorni nella chat di un social: continuava a mandarmi messaggi e inviti, nonostante io non rispondessi mai. Spesso non aprivo nemmeno la conversazione. All’ennesimo messaggio, stufa e comunque desiderosa di mantenere toni educati, con poca voglia di “bloccare” senza motivo una persona da un social, gli ho risposto: “Grazie *** dell’invito, ne sono onorata. Mi dispiace, però, non sono interessata”.
Già il mio silenzio avrebbe dovuto lasciare intendere il mio totale disinteresse ad avere un contatto con quella persona [e sì, non siamo tenute a considerare chiunque: non siamo un centro informazioni ed il nostro tempo ha valore. La selezione è un diritto discrezionale]. Invece, non era stato per nulla sufficiente, come non lo fu nemmeno la risposta. Il suo silenzio durò infatti poche ore e mi rinviò un ulteriore messaggio la sera stessa: “Ci vediamo stasera”. Non era una domanda, ma un’affermazione.
La sua insistenza mi aveva fatta ovviamente irrigidire. Provavo disagio, fastidio e persino rabbia: sono stata chiara e pretendevo di essere presa sul serio come meritavo.
- “No: non sono interessata. Ho altri impegni.”
- “Dipende da te, bella signorina”
- “Esattamente: dipende da me e non ho interesse nei tuoi confronti”
Ha ovviamente continuato, poiché il rifiuto sminuiva probabilmente la sua virilità. Oppure riteneva le mie parole poco valide. O, ancora, perché puntava sullo sfinimento. L’ho bloccato e, ai suoi occhi come a quelli di tanti altri, sono probabilmente diventata una donna acida.
“Dovresti essere felice se ti considerano”: quante volte abbiamo sentito questa assurda critica, a seguire le nostre lamentele nei riguardi dell’accanimento maschile?
Ma prima di considerare “acida” una donna, prima di dare per scontato che apprezzamenti e inviti siano per forza graditi, soffermatevi a chiedere se la quantità di richieste [ahimè i tentativi a percentuale sono 
metodo frequente di rimorchio sui social] è elevata, persistente e fastidiosa; se le persone in questione non cadono spesso nella pressione e nello stalking, a forza di insistere. Ad un certo punto, si è costretti a diventare secchi, taglienti e anche offensivi.
L’esempio sopra descritto è un caso banale e piccolo, di ben poca rilevanza. Le situazioni in cui l’assenza di valore reale dei “NO” femminili diventano pericolosi sono altri e, ahimè, molteplici.
Pensiamo al rifiuto di voler iniziare un rapporto sessuale che si tramuta in violenza. È dalle abitudini quotidiane, dai pensieri comuni e dai piccoli gesti che si creano, però, le basi di quel ragionamento che “giustifica” poi le problematiche più gravi e serie.
Non dobbiamo dare poco rilievo a casi come quello che ho riportato: il nostro “no” non ha meno peso se la situazione non comporta rischio immediato o certo.
Difenderne il valore insegna a mantenerne intatte le conseguenze necessarie.
Uomini! L’appello è diretto a voi questa volta.
Smettetela di considerare le nostre risposte filtrate e non coerenti con il nostro pensiero. Finitela di legare l’insistenza alla virilità, ad un apprezzamento che deve per forza essere gradito.
Un nostro rifiuto non vi toglie valore, né lo definisce: non siete “meno” se una donna non è interessata a voi o decide di non proseguire un qualsiasi rapporto.

Isabella Rosa Pivot



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